Formazione

In Iraq la paura è salita in cattedra Un gruppo di professori si è ritrovato con colleghi europei a Ginevra. La situazione è drammatica. Il 40%dei (pochi) studenti non arriva alla laurea… di Cristina Svegliàti

Dietro la guerra Un sos dalle università di Bagdad

di Redazione

Èdavvero inquietante la situazione in cui versa l’Iraq. Ci si è abituati ad ascoltare servizi su attacchi suicidi, esplosioni che non risparmiano nessuno. Quasi tutti i giorni si vedono nei telegiornali e si leggono sui giornali reportage di guerra. Quasi tutti i giorni, purtroppo; tanto che ormai sembra che il dramma nel dramma non riesca neanche più a fare notizia. Ma la tragedia irachena non è solo questo. È molto di più e ancora peggio. Sappiamo chi sono i kamikaze, sappiamo che c’è in corso una lotta senza quartiere tra appartenenti a diverse etnie e sette religiose; ma non sappiamo che tutti i giorni, in Iraq, si dà anche la caccia a professori e studenti, perché in quella che è sempre stata considerata la culla della cultura mediorientale la voglia di sapere e la curiosità di conoscere possono costar care. E mentre i professori e studenti vengono perseguitati, le università vengono distrutte e i libri bruciati. Anche questo è purtroppo l’Iraq.
Se ne è discusso a Ginevra, durante un seminario sulle università irachene, organizzato dal Gipri, l’Istituto internazionale di ricerca per la pace, presso la sede delle Nazioni Unite. Una dozzina di professori iracheni hanno documentato l’attuale situazione, diventata oggetto del progetto Babilonia, il cui obiettivo fondamentale è quello di andare incontro ai bisogni di questo martoriato popolo, affinché la cosiddetta “fuga di cervelli” si possa arrestare.
Come ha affermato il rappresentante iracheno di Medici senza Frontiere, Husen I. Taha, grazie ad uno studio condotto alla Hawler Medical University, dei 3.307 studenti ammessi negli ultimi 25 anni, solo il 60% si è laureato. Questo significa che il restante 40% è scomparso dall’università. E insieme a loro migliaia di medici che oggi, in Iraq, vivono in una situazione di estremo pericolo. Perché, mentre prima della guerra si emigrava per questioni economiche, oggi si fugge da questo Paese per ragioni di sicurezza. Molti di loro scappano nel vicino e più sicuro Kurdistan, dove l’immigrazione, solo nell’ultimo anno, è quasi raddoppiata. Una crisi tanto evidente da indurre il governo federale iracheno a istituire il ministero dell’Immigrazione e degli immigranti.
La totale assenza di sicurezza ha fornito un ulteriore impulso alla disgregazione sociale. Lo ha confermato la testimonianza di Fawzia A. Al-Attia, docente di Sociologia presso la facoltà di Lettere dell’università di Bagdad. Nel 1994 era stata interdetta dai corsi «perché», racconta, «c’erano troppi oppositori al regime nella mia famiglia». La caduta di Saddam Hussein le ha permesso di tornare ad insegnare, ma con dei limiti.
«Teniamo lezioni tre volte alla settimana», continua,«mentre il resto del tempo lo trascorriamo a casa; questo riduce i rischi». Rischi, certo. Perché il fatto di insegnare può costare la vita. La professoressa Fawzia va a lavorare accompagnata dall’autista perché «è troppo pericoloso lasciare la macchina incustodita; due dei miei colleghi sono stati assassinati».
E se la situazione è drammatica per i professori, lo è altrettanto per gli studenti che non hanno più né strumenti né sedi dove poter studiare. «Le biblioteche sono state bruciate e le infrastrutture distrutte. Non abbiamo più libri, né computer. Abbiamo bisogno di testi su cui approfondire le nostre conoscenze e mezzi tecnologici per poterle ulteriormente sviluppare». «Ma», continua la professoressa,«necessitiamo anche di scambi con gli atenei di altri Paesi: purtroppo è diventato difficile ottenere borse di studio, per insufficienza di mezzi, certo, ma anche per l’estrema difficoltà nel rilascio di visti e passaporti».


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