Mondo

“In Iraq l’umanitario è orfano dell’Onu”

"La scelta delle due donne era la scelta giusta. Perché a Bagdad ci sono solo forze belligeranti. Intervista a Roméo Dallaire.

di Joshua Massarenti

Dieci anni fa, come comandante della missione di mantenimento della pace dei Caschi Blu in Rwanda, si era trovato testimone impotente di uno dei più terrificanti capitoli della storia contemporanea: il genocidio del Rwanda. Nonostante le gravi ripercussioni psicologiche, oggi Roméo Dallaire, tenente generale canadese in pensione, è protagonista di numerose attività di ricerca e di consulenza, fra cui una fellowship ad Harvard su prevenzione e risoluzione dei conflitti. Giunto in Italia il 27 settembre nell?ambito delle iniziative di Italy for Rwanda, Dallaire è stato ospite della redazione di Vita. Nella sua visione geostrategica internazionale, il ruolo delle ong è cruciale: «Come organismi supernazionali sono decisivi nella prevenzione e risoluzione dei conflitti post guerra fredda. Spero ne siano consapevoli». Inevitabile che la prima domanda riguardasse le due Simone, libere di lì a poche ore. Come giudica la loro scelta di non appoggiarsi a nessuna forza di protezione in un contesto come quello di Bagdad? «È stata giusta. In Iraq non c?è l?Onu, ci sono solo parti belligeranti. E l?umanitario non può schierarsi con chi è in guerra, perché lo scotto che dovrebbe pagare ne inficierebbe la possibilità d?azione. In Iraq oggi si può agire solo così». Vita: Già, l?Iraq. Che opinione si è fatta di questa guerra? Roméo Dallaire: Indipendentemente dal giudizio che si può dare sulla scelta di attaccare l?Iraq, vorrei soffermarmi sul modo con cui gli Usa hanno deciso di farlo. Il no del mio Paese, il Canada, si è basato sul principio che non sono lecite azioni del genere al di fuori dell?ombrello dell?Onu. A fare pressione sulla coalizione avrebbero dovuto essere le medie potenze, Paesi come il Canada, l?Italia o il Giappone. Dopo l?intervento – legale o illegale che fosse – bisognava dare il via libera all?Onu per stabilizzare il Paese e operare in un contesto di neutralità, sempre con l?appoggio delle medie potenze. Vita: Per aiutare gli iracheni a rispettare i diritti umani? Dallaire: Questo doveva essere l?obiettivo. Non certo creare basi militari in funzione anti cinese, oppure sfruttare le risorse naturali, come il petrolio. Purtroppo quando ormai gli Usa stavano già entrando a Bagdad, alcuni Paesi si sono mossi per chiedere un intervento dell?Onu. Ma era troppo tardi. Del resto, l?amministrazione Bush non ha consentito nessun margine di manovra, puntualizzando che dopo gli sforzi fatti per entrare in Iraq, dovevano essere gli Usa a gestire la situazione. Il fatto che non ci sia nemmeno un soldato americano in una crisi gravissima come il Darfur, è un segno dei guai che l?America ha in Iraq. Anche qui dovrebbero intervenire le medie potenze, in collaborazione con la Lega Araba e l?Unione africana. Almeno per le operazioni di soccorso. Vita: È vero che gli americani non sono intervenuti nel Darfur, ma Colin Powell è stato il primo a parlare di genocidio? Dallaire: L?uso del termine genocidio è un esercizio politico, accademico e giuridico che non risolve nulla sul terreno. In Rwanda, sebbene qualcuno abbia pronunciato la parola ?genocidio? dopo sei settimane di massacri, nessuno dei Paesi occidentali è intervenuto. Il fatto che gli Stati Uniti risultino più determinati contro Khartoum nel definire ?genocidio? ciò che sta accadendo nel Darfur, non ha comportato un loro intervento. Stia sicuro, in Sudan gli Usa non manderanno soldati. Vita: Secondo lei che possibilità ci sono di porre fine alla crisi del Darfur? Dallaire: Le medie potenze potrebbero mandare battaglioni, elicotteri, materiali di trasporto. Sul terreno, l?intervento potrebbe essere guidato dalla Lega Araba e dall?Unione africana. Putroppo queste due forze sono prive di mezzi per proteggere gli sfollati e arrestare le milizie janjaweed. Bisognerebbe agire quindi in due direzioni: sul piano politico-strategico, continuare a fare pressione sul governo di Karthoum e concedendo qualcosa al regime di El Beshir per non umiliarlo; sul piano logistico, soccorrere i civili con cibo e materiale sanitario. Vita: Sembra che il genocidio del Rwanda non ci abbia insegnato nulla? Dallaire: Senza dubbio. Nell?ambito della prevenzione e risoluzione dei conflitti, si usano tuttora metodologie di intervento risalenti alla guerra fredda, inadeguate allo scenario attuale, più complesso. Il problema è che sicurezza, aiuti umanitari e politica sono interdipendenti. Senza integrazione fra questi tre campi d?intervento non si va da nessuna parte. E invece, ahimé, nei conflitti in cui l?Onu è coinvolta le ong, i militari e i politici fanno il loro lavoro senza comunicare, e rimangono in una situazione di debolezza. Ne approfittano i belligeranti che sanno perfettamente lavorare sulla triangolazione aiuti-sicurezza-politica. Vita: Quindi nei casi in cui l?Onu è presente come forza neutrale, le ong dovrebbero essere più disponibili al dialogo con politici e militari? Dallaire: Le ong non possono più intervenire solo perché la gente soffre. Nel caso degi interventi umanitari, le ong tendono a porsi al di fuori delle crisi in cui intervengono. E questo atteggiamento crea enormi problemi, che spesso finiscono per aggravare la crisi stessa. La loro posizione si basa sul concetto di neutralità, che in Rwanda ha impedito anche la circolazione di informazioni su ciò che stava accadendo. Bisogna ripensare il concetto di neutralità. La collaborazione da parte delle ong nell?ambito della prevenzione dei conflitti deve essere più matura e più profonda. Devono essere più consapevoli della propria capacità di influenzare i governi e l?opinione pubblica.


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