Volontariato

In Europa 200mila bambini di strada

Parla Reinhold Müller, direttore dell’European Federation for Street Children

di Benedetta Verrini

Sono tanti, tantissimi i “bambini di strada” in Europa. Soprattutto se con questa definizione, oltre al fenomeno tanto ben documentato dei paesi dell’Est, si includono tutti i minori esclusi dai percorsi e dalle opportunità di crescita come casa, famiglia, scuola, formazione professionale.


Per parlare di loro, dai bambini rom agli stranieri non accompagnati, dai minori vittime della tratta agli adolescenti con drop out scolastico e sociale, e della condizione in cui versano, che preoccupa l’Unione Europea, si è tenuta a Verona la conferenza internazionale “Promuovere l’integrazione di bambini e giovani emarginati attraverso l’inclusione sociale: scuola, formazione professionale e partecipazione”.
Un ampio confronto sulle criticità e sulle strategie possibili d’intervento presso il Centro Polifunzionale don Calabria di Verona – organizzato dalla Comunità S. Benedetto-Istituto don Calabria e dall’Associazione belga “European Federation for Street Children”, che da anni opera nel settore dei bambini di strada.


La conferenza si è proposta come luogo di discussione critico degli aspetti connessi al fenomeno dei bambini di strada e della loro condizione, ma anche come confronto delle pratiche innovative e di successo sviluppate negli Stati del Sud Europa volte a promuovere l’inclusione attiva e l’integrazione di questi bambini e giovani con forti problemi di esclusione.


Sono stati inoltre definiti i punti chiave che contribuiranno alla preparazione delle nuove strategie nazionali 2008-2011 in favore della protezione e dell’inclusione sociale dei bambini di strada ed in particolare nella revisione della Strategia di Lisbona.

Sul tema, Vita.it ha potuto intervistare uno degli ospiti internazionali più attesi, Reinhold Müller, che è Direttore dell’European Federation for Street Children.

Quanti sono i bambini di strada in Europa?
È un dato davvero molto difficile da definire, vista l’eterogeneità dal fenomeno e il numero di Stati coinvolti. Abbiamo una serie di dati che però ci rappresentano la gravità del problema: secondo recenti stime Unicef, ad esempio, in Europa ci sono circa 1.700.000 bambini rom non registrati all’anagrafe. Ancora, secondo altre stime risalenti a 4-5 anni fa, sul territorio europeo ci sarebbero dai 150mila ai 250mila bambini di strada. È proprio per la difficoltà di reperire dati certi e aggiornati, e soprattutto confrontabili tra Stato e Stato, che EFSC intende pubblicare un Rapporto Europeo sui Bambini di Strada, suddiviso a capitoletti per ciascuno Stato membro, in cui sia possibile avere il punto preciso della situazione. C’è un grande sforzo in atto nell’ambito dell’Unione Europea per fronteggiare il problema: questi appuntamenti ci aiutano a trovare il modo di tradurlo in politiche nazionali.

Quali interventi si rivelano più efficaci per la reintegrazione di questi minorenni?
È necessario distinguere tra gli interventi in situazioni di emergenza e quelli di integrazione nel medio-lungo termine. Nel primo caso, l’approccio avviene con équipe multidisciplinari che coprono diversi campi: quello medico, quello psicologico, quello sociale degli operatori di strada. Le diverse figure coinvolte sono fondamentali nell’intercettare i bisogni e nel rispondervi adeguatamente. Sul medio-lungo periodo, è molto importante, ad esempio, far leva sulla comunità di appartenenza dei minori e dunque utilizzare social workers della stessa nazionalità dei minori o comunque in grado di effettuare un’efficace mediazione culturale. Inoltre, è necessario realizzare un lavoro preventivo sulle famiglie a rischio e poi puntare alla promozione dell’autostima dei ragazzi, per il recupero di un percorso scolastico o lavorativo attraverso la formazione professionale (da voi in Italia avviene già grazie a progetti come Chance a Napoli o con il lavoro dei Centri don Calabria, ad esempio).


In Italia si dibatte molto sull’opportunità del rimpatrio protetto dei minori di strada o comunque sfruttati. Meglio offrire loro una nuova vita nel paese di accoglienza o aiutarli a rientrare a casa?
Siamo ong, non entriamo nel merito di un dibattito politico. Prima di giungere a questo dilemma è necessario muoversi su diversi fronti: il primo è quello della prevenzione nei paesi d’origine, in modo che la dispersione e l’emarginazione dei minori non diventi un fenomeno dilagante. Poi è necessario attivare una politica europea di durissima repressione verso i fenomeni di traffico e le organizzazioni criminali, sul solco di ciò che il vostro ministro Frattini aveva avviato quando era commissario europeo.
Tra gli altri strumenti, bisogna aggiungere una dura lotta alla pornografia infantile e al suo consumo, anche attraverso la collaborazione delle banche che assicurino la tracciabilità dei pagamenti effettuati per questi consumi. Infine c’è un maggior controllo della mobilità interna dei minori non accompagnati nel territorio europeo, che oggi consente di prendere un treno in uno Stato e arrivare facilmente in un altro. Tutto questo, ovviamente, deve essere accompagnato dal lavoro dei social workers dei diversi paesi, che devono scambiarsi conoscenze e informazioni fondamentali per contrastare e aiutare a risolvere il fenomeno.

Info: http://www.centrodoncalabria.it/  e  http://www.efsc-eu.org/


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