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In diretta da Idomeni: al via le operazioni di ricollocamento dei rifugiati
"Negli ultimi giorni viene chiesto ai profughi di fare una chiamata skype nella quale viene fatta una foto che attesta la loro iscrizione al piano di distribuzione in altri Paesi europei. Ma il fatto che non possano scegliere dove andare dissuade la gran parte di loro dal farla", spiega Francesca Sala, volontaria italiana presente nel campo. "I 10mila presenti sono stanca e il loro futuro è incerto, ma preferiscono rimanere qui nella tendopoli a ridosso della frontiera sperando in una riapertura piuttosto che stare negli altri campi gestiti dall'esercito: chi ci va, torna poco dopo per le condizioni ancora peggiori"
Idomeni, 29 marzo 2016, pomeriggio. Una voce esce dal megafono: “chiunque voglia iscriversi al piano di ricollocamento in Europa si rechi presso il nostro punto informazioni”. Ad ascoltare, almeno 10mila persone ammassate da settimane in un’enorme tendopoli al confine tra Grecia e Macedonia, parte greca: profughi siriani per la maggior parte, ma anche afghani, iracheni, pakistani. Scappano dalle guerre, hanno trovato le frontiere europee chiuse. “Chi parla con il megafono è un funzionario di Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati: è inizia la fase operativa dei ricollocamenti, di chi verrà riconosciuto rifugiato, in altri Paesi dell’Unione europea”, spiega direttamente dal campo Francesca Sala, volontaria – sono centinaia le persone accorse a dare una mano da qualche mese a questa parte – che in particolare con l’ong Hope for children aiuta il più possibile nella proibitiva quotidianità della tendopoli, con la presenza di un info point, laboratori per bambini e avendo anche allestito un punto di ricarica cellulari – la hope station – alimentato con un generatore, .
“I profughi ci dicono che, come primo passo per aderire al piano di ricollocamento, viene chiesto loro di effettuare una chiamata skype con la quale viene fatta loro una foto e si avviano le procedure”, spiega la volontaria. “Ma la cosa risulta praticamente molto complicata e rallenta molto le procedure. Inoltre buona parte di loro non ha intenzione di aderire al piano perché non può scegliere il Paese dove essere inviata: molti hanno familiari stretti o comunque parenti in Stati ben precisi e vogliono riunirsi a loro”. I ricollocamenti sono previsti nel discusso accordo tra Ue e Turchia – dove nelle ultime ore, in un campo profughi di 20mila persone vicino alla città di Derik, sono morti tre bambini a causa di un incendio tra le tende – accordo da cui hanno preso le distanze ong come Save the children e Msf e persino la stessa Unhcr. Tre enti che continuano ad operare a Idomeni, così come sono presenti ong greche ed enti di altre nazionalità, nonostante le mille difficoltà proprio perché il campo non è (ancora?) diventato un hotspot, ovvero un luogo chiuso, quindi detentivo, dove le persone vengono identificate in attesa del ricollocamento o del respingimento in Turchia.
Cosa succede se le persone rifiutano il ricollocamento? “Ci sono altre due possibilità: o la richiesta di asilo politico in Grecia, o il ritorno in Turchia”, spiega Sala. “Questo è quello che dovrebbe accadere nei prossimi giorni. Per ora, quasi tutti rimangono qui – anche perché il passaparola di chi è andato è poi tornato dai campi ufficiali gestiti dai militari della zona racconta di pessime condizioni, con un pasto al giorno che non rispetta le differenze culturali, poca libertà di movimento e accesso negato ai volontari”. Tante, tantissime tende anche sui binari: “è una settimana che non passano treni, poco fa è venuto il sindaco di Idomeni a chiedere che vengano spostate per fare ripartire la circolazione, ma è difficile che ciò avvenga in tempi brevi”. La tensione c’è “ma non è altissima: la polizia greca non usa la mano di ferro degli omologhi macedoni, non si prevedono azioni con uso della forza. Anche perché è molto alta la presenza di bambini e donne in gravidanza”, continua la volontaria italiana. “Questa mattina abbiamo accompagnato una ragazza al settimo mese di gravidanza che avvertiva dolori in uno dei punti medici di Msf, è stata visitata e ora le sue condizioni sono stabili”.
Sono giorni di sole, per fortuna, il fango delle scorse settimane è secco, i punti acqua ben distribuiti, i wc chimici sono in condizioni dignitose, la situazione pur nell’emergenza è sopportabile. “Le persone, alcune qui da 40 o 50 giorni, sono però molto stanche. Anche perché regna l’incertezza sul loro futuro a breve termine. Nessuno vuole tornare indietro, la speranza è quella che da un momento all’altro riaprano le frontiere verso il nord Europa, almeno quella macedone”, specifica Sala. Diecimila persone appese a un filo, a un sogno, la salvezza nell’Europa dei diritti umani, che sembra svanire ogni giorno che passa. Con ignote, per nulla rassicuranti, conseguenze.
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