Volontariato

In dieci anni 250mila volontari in servizio, una manna per il nostro welfare

di Daniele Biella

Smettiamola con il buonismo: prestare un anno di servizio civile non è bello. È molto di più. Stiamo parlando dell’unica politica giovanile della Repubblica italiana che funziona, nonostante i tagli governativi degli ultimi anni. Delle migliaia di ragazze e ragazzi in servizio (8.878 al 7 febbraio 2012, nel 2006 si è arrivati al top di 46mila. Dal 2001, data di nascita dell’Snc, il Servizio civile nazionale, le partenze hanno raggiunto quota 250mila) ne giovano tutti: gli utenti dei progetti ai quali sono destinati, gli enti presso cui operano, e i giovani stessi, che attraverso questo modo alternativo di difendere la patria acquisiscono eccellenti competenze umane e lavorative.
«Ma più di tutti ne beneficia la società in generale: per ogni euro che lo Stato investe sul servizio civile, ha un ritorno di quattro volte tanto. È una produttività che non ha eguali in Italia», sottolinea Licio Palazzini, presidente della Consulta per l’Scn e di Asc – Arci servizio civile, l’ente che ha avviato più giovani in servizio (almeno 10mila). Una ricerca del 2010 compiuta per conto di Asc dall’Irs – Istituto per la ricerca sociale, parla chiaro: a fronte della spesa di 6,7 milioni di euro per sostenere i 1.116 giovani di Asc del 2009, il ritorno sulla collettività è stato di 22,9 milioni. «Un capitale sociale e umano enorme», rimarca Benedetta Angiari, curatrice dello studio Irs, «calcolato comparando le loro retribuzioni con quelle di lavoratori del settore con caratteristiche simili». Ma non è tutto: il valore aggiunto generato dall’Scn si declina anche su quello che accade alla fine dei dodici mesi di servizio.
Un altro studio Irs per la Cnesc – Conferenza nazionale degli enti di servizio civile, ha monitorato le scelte di migliaia di giovani che hanno svolto il servizio e di altri esclusi per mancanza di posti: «I primi, una volta conclusa l’esperienza, hanno molta più propensione al volontariato, alla vita associativa e ad azioni di cittadinanza attiva», aggiunge Angiari. «Il 40% di chi fa servizio civile con noi rimane nell’ente come volontario, mentre la maggior parte orienta la propria vita verso un lavoro nel terzo settore», conferma Maria Pia Bertolucci, responsabile Servizio civile per le Misericordie. «Non saremmo ai livelli di oggi senza di loro», aggiunge Paolo Bandiera, responsabile Scn di Aism – Associazione italiana sclerosi multipla, «molti dei nostri presidenti e dei consiglieri di sezione ci hanno conosciuto con il servizio civile». Volontari, ma anche dipendenti, come l’attuale coordinatrice del volontariato Aism, Elena Pignatelli: «Ho svolto il servizio nel 2003, sono rimasta come volontaria, dal 2007 ci lavoro», spiega.
Accade sempre più spesso che gli enti non si lascino scappare i migliori: «Il 30% dei giovani rimane occupato nel posto in cui svolge il servizio», rivela Claudio Di Blasi, presidente dell’associazione Mosaico, di Bergamo. Con una media del 10% per gli enti più grandi, spicca il 15% (in costante crescita) di Federsolidarietà Torino, dove i giovani raggiungono anche posizioni dirigenziali. Clamoroso il dato per chi va all’estero, soprattutto nel progetto Caschi bianchi di Caritas, Focsiv e Comunità Papa Giovanni XXIII. «Nei nostri enti o nelle organizzazioni internazionali come l’Onu, il placement arriva al 70%», illustra Primo Di Blasio, responsabile Estero per la rete di ong Focsiv e presidente della Cnesc.
Anche fuori dal non profit, valorizzare sul curriculum l’anno di servizio civile sta diventando importante: «Ne teniamo conto, soprattutto nella parte motivazionale del colloquio di selezione», conferma Marco Piccolo, cofondatore di Banca etica. Anche nelle Acli, che in dieci anni hanno garantito 5mila posti di Scn, «molti dirigenti vengono dal servizio civile», afferma la responsabile del settore, Vittoria Boni, «competenze di alto livello, maggior lettura della realtà, capacità di ideare nuovi progetti: ecco quello che guadagniamo con il loro innesto».


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