Mondo

In Darfur ho visto cose spaventose

E' appena tornato da una missione umanitaria e lancia un allarme: "Questa è una pace fragile". Intervista a Marc Lavergne

di Joshua Massarenti

Mentre la diplomazia occidentale ha cantato vittoria per la pace siglata tra Khartoum e lo Spla di John Garang, c?è chi come Marc Lavergne, direttore di ricerca presso il Cnr francese e tra i massimi specialisti di geopolitica sudanese, nutre «perplessità per accordi molto fragili che sacrificano troppi protagonisti della vita politica e civile sudanese, tra cui il Darfur». A Vita, Lavergne spiega gli appetiti politici che nascondo gli attori di accordi ?in realtà bilaterali? e lo scontento degli esclusi. Vita: Che giudizio ha su questi accordi? Marc Lavergne: Nutro molte perplessità. Sul piano formale, sono accordi molto complessi, approfonditi ad un punto tale che svelano le diffidenze tra lo Spla di Garang e il regime di Khartoum. In realtà, questi accordi sono stati voluti a tutti i costi dalla comunità internazionale, Stati Uniti in primis. Tra le anomalie, c?è il fatto che si apre una fase transitoria lunghissima di sei anni in cui tutto può succedere. Vita: Quali rischi corre questa pace? Lavergne: Penso che Garang, grazie al sostegno degli americani, intenda davvero giocare il suo ruolo fino in fondo assumendo la vice presidenza sudanese. Il suo sogno rimane comunque la poltrona presidenziale con l?obiettivo ultimo di consegnare il potere a un cristiano-animista capace di rappresentare davvero tutti i sudanesi e porre fine a cinquant?anni di terrore imposto da un?élite nordista e islamista radicale. A conti fatti, a Garang non interessa un Sud Sudan indipendente. Anzi, lui professa un Sudan unito e laico. Ma su questo piano, questi accordi segnano una sua sconfitta in quanto a Nord la Sharia non sarà abolita. Il sogno di uno Stato sudanese laico davanti al quale tutti i cittadini sono uguali, rimane una chimera. Concretamente, ha solo ottenuto una gestione più autonoma del Sud con la nascita di una banca centrale locale, una moneta e un esercito sudisti. Vita: Quali le intenzioni del regime? Lavergne: Vuole solo guadagnare tempo. Al suo interno, le spaccature sono profondissime. Da un lato, quelli che desiderano una normalizzazione della situazione per non perdere posizioni di rendita conquistate in un Paese che sta diventando un eldorado petrolifero: dietro le quinte, questi baroni si sono messi d?accordo con gli Usa affinché non vengano tradotti in giustizia e che tutti i contratti di import-export siglati negli ultimi quindici anni non vengano toccati in futuro. Dall?altro lato, abbiamo i falchi molto preoccupati dalla condivisione del potere centrale. Ai loro occhi, concedere a Garang la vice presidenza significa, a breve e medio termine, doversi confrontare con le richieste dei ribelli del Darfur. A seguire ci saranno i Beja del Mar Rosso, ai confini con l?Eritrea, in guerra con Khartoum dal 94 perché si sentono esclusi dalla spartizione degli introiti petroliferi. Vita: Si può parlare di fette di società sacrificate dalla comunità internazionale? Lavergne: Se penso al Darfur, la risposta è sì. Gli Stati Uniti, i veri artefici della pace in Sud Sudan, hanno fatto carte false per accordare lo Spla e Khartoum. A facilitare il loro compito è stato poi lo tsunami, una catastrofe giunta a pennello per rimuovere l?attenzione dell?opinione pubblica internazionale dalla crisi del Darfur. Sono appena tornato da una missione di un mese per conto di Medici senza frontiere e posso assicurare di aver visto una situazione umanitaria spaventosa. Non c?è dubbio che le milizie sostenute da Khartoum continuano a seminare morte e terrore, approfittando della passività e dell?incapacità della comunità internazionale a far rispettare sanzioni mai prese sul serio dal regime di El Beshir. Vita: Un altro attore di cui si è parlato è l?esercito sudanese? Lavergne: Eppure è un attore cruciale che potrà essere una spina nel fianco del regime. Per vent?anni i militari si sono sentiti dire che i popoli del Sud erano i nemici della nazione arabo-musulmana del Nord e che per questo motivo andavano massacrati. Adesso, l?esercito viene costretto a baciare il proprio nemico. A questi fattori ideologici si sovrappongono problemi pratici. Molti generali e colonnelli hanno paura di un?era di pace in cui rischiano di perdere i propri mezzi di sussistenza, tra cui contratti di armi che non a caso stanno siglando in Ucraina e in Russia. Questo significa molto probabilmente una intensificazione della guerra nel Darfur attraverso la complicità di Khartoum che, fenomeno nuovo in questi ultimi mesi, sta alimentando un?industria militare con la creazione di società commerciali gestite da generali o colonnelli. Un modo come un altro per tenerli a bada e scongiurare colpi di Stato molto frequenti nel passato. Vita: Si può sperare nell?instaurazione di una futura democrazia? Lavergne: è difficile fare previsioni. In attesa di elezioni che avranno luogo tra quattro anni, lo Spla con il 28% e il partito islamista di El Beshir con il 52 si spartiscono la quasi totalità dei poteri parlamentare e governativo transitori. Nei prossimi anni, Garang proverà a dividere il governo mentre viceversa gli islamisti di El Beshir continueranno a dividere politici e ribelli nel Sud. In questo gioco, il petrolio sarà fonte di molte discordie. Vita: Per quale motivo? Lavergne: Gli accordi prevedono che Khartoum e Garang si dividano a metà i proventi del petrolio estratto nel Sud. In realtà non c?è nessun accordo perché sino ad ora il regime islamista ha proposto allo Spla di assegnare loro il 50% dei proventi petroliferi incassati su un conto corrente governativo. Vorrei ricordare che il petrolio sudanese viene esportato all?estero da Port Sudan, nel Nord del Paese. E questo è un problema serio per Garang. La sua formazione, lo Spla, non ha nessuna struttura amministrativa capace di gestire i proventi in modo autonomo. In prospettiva larga, la questione del petrolio è strettamente legata al problema dell?identità nazionale. La crisi del Darfur non è scoppiata per caso. I ribelli volevano beneficiare delle rimesse petrolifere. Tornando al Sud Sudan, sebbene la pace sia stata firmata, Khartoum continua ad attaccare alcune zone come Boro dove la multinazionale Total ha ottenuto delle concessioni. Questo per dare un?idea della pace che sta regnando nel Sud Sudan.

Info: Un forum a Milano Parte la mobilitazione

Analizzare i processi di pace in corso e le sfide di domani. Sollecitare l?impegno della comunità internazionale e dei suoi attori presenti sul territorio per una pace equa e duratura. Questi gli obiettivi prefissati dal Forum internazionale Quale pace per il Sudan? La parola alla società civile previsto a Milano i prossimi 18 e 19 marzo per iniziativa della Campagna italiana per la pace e i diritti umani in Sudan, una coalizione di realtà non profit italiane tra cui Acli, Amani, Arci e Pax Christi. La Campagna per il Sudan darà la parola alla società civile locale. La lista degli invitati va dai protagonisti del mondo religioso (padre Kizito Sesana e l?arcivescovo di Khartoum, cardinale Zubeir Wako) a quelli umanitari (Domenico Polloni, coordinatore umanitario, e l?inviata speciale del presidente del Consiglio per il Darfur, Barbara Contini), passando per gli attori della società civile come il leader del movimento per i diritti umani, Ghazi Suleyman. segreteria@campagnasudan.it

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