Non profit

In città, in azienda, a scuola l’orto sociale dà buoni frutti

Da Torino a New York, dai bambini agli anziani

di Marina Moioli

In Piemonte terreni in prestito per singoli e associazioni
che si impegnano ad aprirli al pubblico. E in tutta Italia sempre più bambini in classe con gli ortaggi A Parigi li chiamano “jardins partagés” e sono una realtà ormai consolidata. Sparsi per tutta la città ce ne sono più di 50: spazi abbandonati, tra un condominio e l’altro, troppo piccoli per essere utilizzati in altri modi. Li hanno trasformati in aree verdi, giardini, orti comunitari creati e gestiti con la partecipazione degli abitanti del quartiere.
In Italia il buon esempio viene da Torino (una delle prime città a favorire l’avvio di orti urbani fin dal 1986 nel quartiere Falchera) che da quest’autunno potrà avviare un nuovo esperimento. «Funzionerà così: il Comune presterà i terreni, li renderà pedonabili, fornirà l’acqua e la recinzione. Invece i residenti, le scuole o le associazioni si impegneranno a farne aree ecologiche, aprirle a tutti e organizzare periodicamente eventi pubblici», spiega Carlo Spinelli dell’Urban Center.
Un progetto diverso e più evoluto rispetto agli orti urbani (o sociali) nati spontaneamente una ventina di anni fa e frequentati soprattutto da anziani (il 60% dei coltivatori ha fra i 60 e i 70 anni, il 30% ne ha più di 70) che riassaporano tra zolle di terra e sementi i piaceri di una vita semplice. Dalle città come Treviso, Milano, Bologna, Bolzano ai comuni più piccoli come Castenaso, Vedano al Lambro, Orbassano fino al recente Parco degli orti urbani inaugurato in estate a Roma: 21 orti di 200 metri quadrati ciascuno in via della Consolata. In questi casi l’aspirante coltivatore ottiene in concessione l’uso del terreno dall’amministrazione locale (comunale o di circoscrizione, che periodicamente indice bandi di concorso per affittare e gestire direttamente gli orti), da un ente (come Legambiente o Italia Nostra) o da cooperative agricole.
Tutto un altro mondo rispetto all’ultima frontiera in fatto di orti metropolitani: i corporale garden. L’esempio, naturalmente, viene ancora una volta dall’America e dagli headquarters di grandi multinazionali come Google, Toyota, PepsiCo, che sugli spazi esterni e le terrazze degli uffici hanno allestito veri e propri orti a disposizione dei dipendenti. A New York ne esistono già una quindicina, ma c’è da scommettere che presto la tendenza prenderà piede anche da noi.
E c’è anche un altro settore in grande espansione. È quello degli school gardens, nati a metà degli anni 90 in California da un’intuizione di Alice Waters, vicepresidente Slow Food Internazionale, che decise di proporre nelle scuole un nuovo metodo di educazione alimentare, basato sull’attività pratica nell’orto e sullo studio e trasformazione dei prodotti in cucina. Nacque allora il progetto «The Edible Schoolyard», che in Italia è arrivato dal 2004 col nome «Orto in condotta». Il progetto è triennale e le materie studiate sono tante: si va dall’orticoltura ecologica all’educazione sensoriale e del gusto, alla cultura alimentare, alla storia della gastronomia e alla geografia alimentare. Oggi riguarda una rete di 301 scuole in tutta la penisola, dalla Sicilia al Piemonte.

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