Welfare

In carcere italiani e arabi si parlano senza guerra

Sui fatti di New York voci dal carcere

di Riccardo Bonacina

Com?è difficile anche solo guardare un telegiornale e interessarsi del resto del mondo, quando si vive in dieci in una cella! Quelli che seguono sono appunti raccolti e inviateci dalla redazione di ?Ristretti Orizzonti?. Grazie. Carcere femminile della Giudecca (Venezia), venerdì 14 settembre. Decidiamo di discutere dei fatti dell?America. Comincia Sandra: «se già per chi sta fuori è difficile dire cosa può cambiare dopo la strage dell?11 settembre, stando qui lo è ancora di più. E poi la ?vendetta? (perché tutti noi temiamo che sarà una vendetta) degli Stati Uniti deve ancora arrivare, è da lì che capiremo qualcosa di più di come saremo coinvolti anche noi». Licia: «la sensazione di paura, comunque, è stata forte, e poi un attimo dopo che abbiamo avuto la notizia dell?attentato dalla televisione, abbiamo sentito che si sono alzati tre caccia, qui a Venezia la base di Aviano è molto vicina». Svetlana: «le agenti ci hanno anche prese un po? in giro, perché abbiamo detto che non vorremmo morire qui dentro. Eppure è così, quando succede qualcosa di grave, ti senti ancora più impotente: il mondo crolla, e noi siamo rinchiuse e da qui non ci muoviamo. È una paura di gran lunga più angosciosa, perché non ti permette nessun tipo di reazione». Fin qui, la discussione è stata ?normale?. Poi toccava a Patrizia dire la sua opinione, ma lei è nervosa e brusca: «Io non ho visto niente», dice, «non ho voluto sapere nulla». Il suo atteggiamento ci sembra strano, lei è una donna che si impegna, che è curiosa e attenta a quello che succede. Decidiamo di indagare, e viene fuori un disagio inatteso: è vero, nel mondo succede di tutto, ma tu stai in carcere, e alla sofferenza ?normale? del carcere si aggiunge quella di stare in dieci in una cella, due italiane, cinque sinte, e poi sudamericane, nigeriane, albanesi. Per la maggior parte donne che il telegiornale non lo vogliono proprio vedere, meglio Beautiful, e così ti devi adeguare, devi masticare amaro e stare zitta. In carcere può capitare che fuori stia per scoppiare la guerra, ma dentro tu non te ne accorga neppure, perché sei troppo impegnata nella tua guerra personale per sopravvivere o perché, come dice Daniela, «io sono morta dentro, non ho più voglia di reagire». Carcere maschile Due Palazzi (Padova), lunedì 17 settembre. Sembra assurdo, ma succede che, fra arabi e italiani, sia più facile confrontarsi in carcere che fuori, nella società civile. A Padova, c?è chi ha trovato in carcere quello che la nostra società, nella ?normalità?, non sa dargli: una possibilità di scambio, di discussione, di confronto. Nicola: «se i ragazzi arabi dicono ?quando i massacri succedevano in Palestina, voi non ve ne interessavate molto?, io credo che questa accusa sia troppo generica, e non vada bene, per esempio, per noi, che da qui, dal carcere, e con tutta la fatica che costa farlo da un posto così, abbiamo anche organizzato una trasmissione radio in diretta sulla guerra nella ex Jugoslavia, il Kosovo, i bombardamenti. Però, io provo una viscerale antipatia per l?America, non ho mai capito il perché dell?embargo all?Iraq, e capisco invece i miei compagni arabi quando dicono che solo ora in Occidente ci si rende conto di quanto la loro gente ha sofferto per anni». Hamid (Tunisia): «io voglio dire la mia opinione senza maschere. Se guardo alla strage, e alle singole vittime, so che sono persone innocenti, tra l?altro sono morti anche moltissimi musulmani. Però voglio capire perché, se l?America bombarda l?Iraq, nessuno ha fatto un minuto di silenzio per le vittime». Danko (Bosnia): «bisognerebbe avere il coraggio di dire basta, abbiamo avuto noi i nostri morti, voi i vostri, è ora di ricominciare». Francesco: «il fatto è che noi occidentali non siamo ?abituati? a vedere i massacri in casa nostra, mentre chi vive con la miseria e la guerra in casa sua in un certo senso ha sviluppato una forma di ?abitudine?. Qui stiamo sperimentando come sia possibile un confronto senza ?farsi la guerra?».


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