Welfare

In carcere a trovare papà, dopo quattro lunghi anni

Una testimonianza sulla difficoltà di costruire un rapporto familiare con un familiare detenuto.

di Ornella Favero

Genitori in carcere e figli fuori: è drammaticamente difficile decidere se dire a un bambino la verità, se fargli affrontare il disagio di una sala colloqui, la sofferenza di un incontro con pochi gesti di affetto e tanti controlli. A volte sembra più semplice dire una bugia, raccontare di una malattia o di un lavoro all?estero che impediscono di tornare a casa. Patrizia, prima detenuta alla Giudecca, ora in detenzione domiciliare, racconta dell?incontro della sua bambina con il padre in carcere, dopo tre anni di lontananza forzata e di paura di raccontarle tutta la verità. Ornella Favero (ornif@iol.it) Quando sono uscita in detenzione domiciliare, prima di tutto ho avuto la gioia di riabbracciare mia figlia, ma poi ben presto ho cominciato a pensare che doveva arrivare anche il momento di far incontrare la bambina con il suo papà, cosa non facile perché lui si trova ancora in carcere e più volte, quando si affrontava l?argomento, lui sosteneva che i colloqui in carcere coi bambini sono una cosa da evitare, perché le regole rigide e il tempo controllato sono i padroni, lì dentro, e non esistono intimità e possibilità di esprimere liberamente le emozioni. Più volte avevo chiesto a mia figlia se voleva venire con me a incontrare suo padre, spiegandole cosa avremmo trovato arrivando là, ma facendo anche leva sulla sua curiosità e sul suo amore per il papà. La risposta era sempre “no”, finché un giorno ha detto finalmente “sì”. Era dal settembre 1999 che non si vedevano, e la mia paura era quella che fra di loro si rompesse anche quel sottile filo che unisce due persone costrette a non vedersi per lungo tempo. Quel giorno la sala colloqui era vuota, c?era solo lui, solo noi, con due ore da riempire e l?emozione che si vedeva, si toccava, il battito del cuore amplificato, a mille. Erano uno di fronte all?altra, percepivo quello che provavano. L?ultima volta che lui l?aveva vista aveva sei anni, adesso quasi dieci e io avrei voluto che non ci trovassimo in una sala colloqui di un carcere. Però è stato bello rivederli assieme, ma ho anche pensato? non è giusto! Non è giusto che i rapporti affettivi si limitino, per chi sta in carcere, a una o due ore di colloquio, soprattutto se avvengono tra genitori e figli. Il genitore che si trova in carcere perde molte cose, oltre che la libertà, e tra le tante c?è anche la crescita di un figlio. Il rapporto tra genitore detenuto e figlio si può costruire solo in spazi idonei, e se non è possibile a casa, almeno dovrebbe avvenire con dei tempi ?umani? e in un luogo dove il bambino si trovi a suo agio.

Patrizia, Giudecca


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