Economia

In azienda arriva il disability manager

Otto disabili su dieci in Italia sono disoccupati. Il Jobs Act ha aggiornato la legge 68, ma ancora non basta. Per provare a superare l'empasse, il nuovo Programma d'azione sulle politiche sulla disabilità lancia una proposta alle aziende: creare un osservatorio aziendale dedicato e un disability manager. Un'idea nata dall'osservazione di quanto le aziende già stanno sperimentando

di Sara De Carli

A Firenze, alla V Conferenza Nazionale sulle politiche sulla disabilità (qui tutti i documenti prodotti durante la due giorni di confronto), il gruppo di lavoro numero 5, dedicato all’inclusione lavorativa e alla protezione sociale, è stato il primo ad andare “sold out”, giorni e giorni prima dell’evento: sintomo di quanto il lavoro sia un capitolo caldissimo delle politiche sulla disabilità e di quanto – compensibilmente – stia a cuore alle persone con disabilità.
L’Italia ha una lunga tradizione di interventi per l’inclusione lavorativa, ma la legge 68 risale al 1999. Il mondo del lavoro nel frattempo si è completamente trasformato e la legge ha la necessità di una manutenzione. Il Jobs Act, e in particolare il dlgs n.151 del settembre 2015, ha introdotto alcune novità, a cominciare dalla riforma degli incentivi, oggi finanziati con un fondo di 20 milioni di euro, piuttosto significativi e duraturi nel tempo (36 mesi che diventano 60 per l’assunzione di lavoratori con una disabilità intellettiva), ma molto c’è ancora da fare.

Nel 2013, secondo i dati pubblicati da Condicio.it, i posti disponibili nelle aziende pubbliche e private ammontavano solo al 6,1% dei circa 700mila iscritti con disabilità alle liste provinciali. Non brilla nemmeno la Pubblica amministrazione, che secondo la VII Relazione al Parlamento sull'applicazione della legge 68/99 – l’ultima disponibile, relativa al biennio 2012-2013, quella successiva doveva uscire a luglio 2016 e ancora la si attende – a fine 2013 contava 14.449 scoperture, quasi il 25% della quota di riserva. Sempre secondo la relazione al Parlamento, solo 18.295 persone con disabilità sono state avviate al lavoro nel 2013, un buon 30% in meno rispetto al 2004 e secondo una stima della Fish (“stima” perché il tasso di disoccupazione complessivo delle persone con disabilità non è un dato disponibile in Italia), oltre l’80% delle persone con disabilità è oggi disoccupato, a fronte di un tasso di disoccupazione nel mercato ordinario del 12% (una bella panoramica sul tema su trova sull’ultimo numero di La rosa blu, la rivista di Anffas).

Le proposte del nuovo programma d'azione

Se questo è il quadro, cosa si può fare per migliorare? Innanzitutto portare a compimento quando già previsto nel primo programma d’azione, cioè la riforma degli incentivi, la creazione di una banca dati del collocamento mirato, ancora non realizzata, che incroci tutti i dati relativi al lavoro delle persone con disabilità e dia per la prima volta un quadro organico che vada oltre la relazione al Parlamento, la stesura delle Linee guida per il collocamento mirato, in raccordo con le Regioni, anch’esse attese con ansia. Il nuovo Programma d’azione biennale, che dovrebbe essere approvato definitivamente entro il mese di ottobre, fa ovviamente anche nuove proposte, scritte nero su bianco nella linea d’azione 5 della bozza.

Silvia Stefanovichj è responsabile di Disabilità e Work Life Balance per la Cisl e ha fatto parte del gruppo di lavoro dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità che ha redatto la linea d’azione sul tema “inclusione lavorativa”. La sua sintesi delle richieste contenute nel nuovo programma d’azione è la seguente: «modifiche normative, in particolare con la revisione del regime delle sospensioni, esclusioni ed esoneri; l’adeguamento del fondo nazionale alle necessità delle imprese, ora il fondo è stabilizzato in 20 milioni ma se nel monitoraggio ci si rende conto che non è sufficiente il fondo va adeguato; il miglioramento delle attività di collocamento mirato; un sistema di incentivi per la contrattazione di primo e secondo livello in materia di flessibilità e conciliazione dei tempi di vita-cura-lavoro per le persone con disabilità o malattie gravi e croniche progressive e per i lavoratori caregiver di persone con gravi disabilità (c’è uno stanziamento di 36 milioni di euro previsto dal decreto 80/2015 che non è ancora stato normato, perché non sono state ancora definite le linee guida che consentano l’utilizzo degli stanziamenti); l’estensione del diritto al part-time a tutti i lavoratori con handicap in condizione di gravità già previsto per i lavoratori affetti da patologie oncologiche; l’agevolazione dello smart working, garantendo però che sia applicato in modo volontario ed in forma parziale rispetto all’orario di lavoro, altrimenti l’inclusione ce la scordiamo».

Disability manager e Osservatorio aziendale

Ma la sorpresa arriva con l’azione tre del capitolo dedicato al lavoro, con la proposta di «promuovere l’attuazione e monitorare l’andamento dei progetti sperimentali che prevedono l’istituzione, su base volontaria, nelle imprese del settore privato, di organismi (Osservatorio aziendale e “disability manager”) che abbiano l’obiettivo di promuovere l’inclusione dei lavoratori con disabilità nei luoghi di lavoro, a partire dal momento delicato dell’inserimento, valorizzando, per tutto il percorso lavorativo, la loro autonomia e professionalità e conciliando le specifiche esigenze di vita, cura e lavoro».

Stefanovichj lo spiega così: «La proposta alle aziende di medie e grandi dimensioni è quella di costituire contestualmente una figura di fiducia aziendale, che potrebbe chiamarsi disability manager o in altro modo, cha abbia l’autorevolezza per agire all’interno dell’impresa e modificare sia l’impianto strutturale che organizzativo-relazionale, per favorire la piena inclusione delle persone con disabilità nella fase di inserimento al lavoro ma anche per tutta la carriera, come pure per tutti i lavoratori che hanno una patologia grave sopravvenuta o che sono divenuti disabile». Quindi una figura operativa, che possa agire e rimuovere le barriere, piccole o grandi che siano e che sia l’interfaccia dell’azienda con tutti i servizi. Accanto a questa figura però, deve esserci un organismo di garanzia, che può anche essere all’interno di un comitato già esistente, composto in maniera paritetica da rappresentanti dei lavoratori e dell’azienda, di cui possono far parte – in maniera saltuaria o stabilizzata – anche figure tecniche aziendali come il medico competente o il responsabile del servizio di prevenzione e protezione: «l’osservatorio aziendale ha l’obiettivo di indirizzare e verificare l’azione del disability manager, di verificare che vengano attivati tutti gli strumenti, che si faccia la formazione sia della persona con disabilità sia dei colleghi, non solo per un periodo ma per tutta la carriera, senza snodi critici. Sarà anche un luogo di raccolta per eventuali segnalazioni di difficoltà».

L'idea è dare il segnale che se la disabilità, come dice la Convenzione Onu, è un effetto dell’interazione tra la persona e l’ambiente fisico e relazionale, l’inclusione è un tema di cui hanno responsabilità tutti i membri della comunità professionale, i sindacati, l’azienda, i lavoratori, ognuno con il proprio ruolo ma in sinergia, con una responsabilità condivisa. L’osservatorio è il luogo dove esercitare questa responsabilità condivisa

Silvia Stefanovichj

Le sperimentazioni in azienda

Come si è arrivati a questa proposta? L’osservatorio ci ha lavorato dal giugno 2015, con una serie di audizioni con i responsabili di alcune grandi aziende – UniCredit, Unipol, Enel, Alma Viva, Hera e il Comune di Bologna – per comprendere le pratiche in atto su diversità e inclusione e arrivare a definire un modello efficace. Il modello non è compiutamente definito, è "aperto", ma l’idea di fondo è che un modello efficace debba prevedere – insiste Stefanovichj – la «contestuale attivazione della figura operativa e di un organismo di garanzia. L’idea è di dare il segnale che se la disabilità, come dice la Convenzione Onu, è un effetto dell’interazione tra la persona e l’ambiente fisico e relazionale, l’inclusione è un tema di cui hanno responsabilità tutti i membri della comunità professionale, i sindacati, l’azienda, i lavoratori, ognuno con il proprio ruolo ma in sinergia, con una responsabilità condivisa. L’osservatorio è il luogo dove esercitare questa responsabilità condivisa».

A Firenze, alla V Conferenza Nazionale sulle politiche sulla Disabilità, alcune aziende hanno presentato la loro esperienza in un workshop tematico: UniCredit, Busitalia Sita Nord, Engineering Ingegneria Informativa spa, Unipol, Enel, Gruppo Hera, Comune di Bologna, Servizi Italia, Eli Lilly Italia e la Coop Humanitas. Non si tratta di prime, embrionali realizzazioni dell’osservatorio proposto nel programma d’azione, ma della condivisione da parte delle aziende di percorsi e ragionamenti in essere, con un pubblico composto da altre aziende interessate a capirne di più.

Quella di UniCredit, ad esempio, è «un’esperienza di disability management in atto da dieci anni», spiega Francesca Bonsi Magnoni, che si occupa Politiche di inclusione all’interno della International Dialogue Welfare and People Care Human Resources. L’obiettivo è quello di «creare inclusione», pensando sì ai colleghi con disabilità – circa 500 in UniCredit – ma anche diffondendo la cultura sulla disabilità a tutta la comunità dei dipendenti con workshop, corsi on line, dispense. «In tutti i nostri processi gestionali guardiamo i colleghi per le loro capacità, non per la loro disabilità. In questo modo i colleghi diventano straordinari attori di buone pratiche, ad esempio ci sono colleghi sordi che sono educatori finanziari e offrono le loro conoscenze organizzando seminari presso strutture esterne in lingua dei segni per diffondere la cultura finanziaria di base alla comunità sorda. Inoltre, un sordo che vuole una consulenza in agenzia in lingua dei segni, può chiedere un appuntamento e usufruire del sevizio agevolato di interpretariato. Sempre in tema di accessibilità abbiamo accompagnato con formazione mirata colleghi non vedenti ed ipo vedenti a svolgere con successo il ruolo di specialista recupero crediti, abbiamo istallato 2mila bancomat con sintesi vocale su tutto il territorio, e la app di UniCredit sarà a breve completamente accessibile, come tutti gli accessi fisici e tecnologici del gruppo anche per le persone con disabilità motoria, siano essi colleghi o clienti. Tutto questo è stato possibile solo con il coinvolgimento e la partecipazione attiva dei colleghi con disabilità», conclude Bonsi Magnoni.

Busitalia invece è un gruppo all’interno di Ferrovie dello Stato, con 3.700 dipendenti su tutto il territorio. Si occupano di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, su rotaie, gomma, scale mobili, laghi. «Quando Busitalia nacque, sentimmo subito l’esigenza di mettere a sistema in maniera omogenea la contrattazione di secondo livello fatta dalle varie aziende del gruppo», spiega Claudio Terzi, responsabile delle risorse umane. Quello siglato nel febbraio 2015, così, è «il primo contratto di secondo livello che vale su scala nazionale e tutte le nostre aziende oggi hanno non solo omogeneità retributiva ma anche lo stesso welfare aziendale». La novità di questo contratto, in termini di attenzione alle persone con disabilità e/o ai lavoratori caregiver è che è il primo in Italia a prevedere il sistema di cessione di ferie e permessi in favore di colleghi che ne hanno bisogno: un meccanismo ispirato alla legge Mathys francese e previsto dal Jobs Act del dicembre 2014, ma ancora – all’epoca – non regolamentato dal decreto attuativo. In Busitalia quindi è stato costituito «un monte giornate permessi emergenza» che raccoglie i permessi “donati” dai colleghi in favore di chi ha non solo un figlio da assistere (come prevede la legge) «ma anche per familiari di primo grado conviventi». In funzione della necessità rappresentata, spiega Terzi, «c’è una commissione bilaterale e paritetica, composta dalle parti sociali e dall’azienda, che valuta il caso e ne dà comunicazione a tutti i dipendenti. Le giornate messe a disposizione vanno in un monte-ore e di nuovo la commissione definisce le modalità di cessione».

Foto Getty Images

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.