Non profit
In Africa per imparare la vita senza accessori
UniCredit manda in Benin e Burkina Faso dieci volontari-bancari
Eros Tavernar è uno dei “reduci”: «Da quando sono rientrato non sopporto più il pietismo improduttivo e ho un rapporto molto diverso coi telefonini» Bancari con «un mondo nel cuore». Eros, 49 anni, lo ammette: «Avrei voluto fare altro nella vita invece di essere un manovratore di numeri». Fiorenzo, stessa età e il biglietto in mano, non si arrende: «Sono soddisfatto, faccio questo lavoro da 28 anni, in pratica ho sposato quest’azienda», ma poi aggiunge: «Certo, l’interesse per qualcosa di meno freddo nella vita ce l’ho». Bancari in Africa. Il 7 maggio ne partono dieci, selezionati fra gli oltre 400 che da tutto il mondo hanno riempito un formulario per andare in Benin e Burkina Faso insieme a Unidea, la fondazione corporate non profit del gruppo UniCredit. Si incontreranno all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, dieci persone provenienti da dieci Paesi diversi nei quali l’azienda ha le sue sedi, e nei dieci giorni seguenti vivranno nei due Paesi africani. «Incontreranno persone e visiteranno i progetti sociali e sanitari che stiamo sostenendo», spiega Chiara Piaggio della Fondazione Unidea. «Anche questa volta sono sicura che partiranno con delle certezze sull’Africa e sulla cooperazione e torneranno con idee più confuse e molte domande».
Eros Tavernar è stato in Burkina e Benin nel 2008. Vive a Milano nello stesso condominio di Gino Strada, il fondatore di Emergency. Ha lavorato in banca per vent’anni e ora fa il commercialista in proprio. «Dei cosiddetti Paesi poveri ho sempre sentito parlare da altri, l’Africa la conoscevo attraverso i documentari e la televisione. Devo dire che l’esperienza diretta mi ha aperto nuovi orizzonti. A distanza di due anni, ora che sto raccontando, risento i canti delle persone che ci hanno accolto sotto un grande baobab, rivedo i sorrisi e i volti». L’obiettivo dei viaggi in Africa, spiega Guido Munzi dalla sede milanese della fondazione, è «far conoscere l’attività non profit di Unidea, ma anche sfatare una certa immagine dell’Africa solo bisognosa d’aiuto». La proposta, da tre anni a questa parte, viene lanciata a tutti i dipendenti UniCredit. Quelli interessati devono compilare una scheda con le loro motivazioni. Tra le più ricorrenti, spiegano gli organizzatori, c’è l’intenzione di «aiutare i bambini, almeno con un sorriso» e «vedere la povertà». «Nel corso di preparazione prima della partenza spieghiamo che l’obiettivo non è aiutare, ma prima di tutto conoscere una realtà di cui si sa ben poco, e che lo spirito migliore è quello dell’umiltà e della curiosità», sottolinea Piaggio. In Burkina Faso una delle tappe principali è l’incontro a Ouagadogou con l’associazione locale Kiogo che si occupa dei ragazzi di strada della capitale. In Benin, invece, Unidea ha attivato progetti propri in ambito sanitario, in collaborazione con le istituzioni pubbliche.
Fiorenzo Marcon partirà con il gruppo di quest’anno. «Ho due figli adolescenti e mi piace l’idea di portare loro una testimonianza diretta dall’Africa», racconta. «Vorrei trasmettere loro in modo non retorico una scala di valori, fargli capire attraverso quello che racconterò che il problema più grave non è la playstation che non funziona».
Chi è tornato, come Tavernar, assicura che la scala di valori si ridimensiona: «Io ho cominciato per esempio a smitizzare gli accessori, il telefonino al quale ero attaccato tutto il giorno. In Africa mi ha colpito la voglia di vivere, di fare, di crescere. Dirò cose scontate, forse, ma ho nostalgia dell’umanità che ho incontrato lì, della vita senza tanti accessori, appunto». Alcune convinzioni sono cambiate: «Mi sono reso conto che il pietismo improduttivo non serve. Certi discorsi tipo: “noi come siamo fortunati, e invece loro?” non li sopporto più. Ti rendi conto che la maggior parte del mondo vive in un altro modo, e che tu sei parte di un’esigua minoranza». C’è anche chi parte per l’Africa per capire l’Africa della porta accanto: «Vivo in un paesino in provincia di Pavia», racconta Marcon, «e anche da noi ormai ci sono molti immigrati. Mi chiedo spesso quali sono le motivazioni che li hanno spinti a venire qui, come vivevano nei loro Paesi. Ho deciso di candidarmi per saperne di più».
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