Welfare
In 9 anni di galera ho visto mia moglie e i miei figli solo 27 giorni
Lettere dal carcere a cura della direttrice di "Ristretti Orizzonti" Ornella Favero.
Un detenuto che sta per uscire dal carcere scrive a un altro, uno che invece ha un ?Fine pena mai?, e gli confida la sua ansia all?idea di rientrare in una famiglia che gli è diventata estranea: sembrerebbe quasi una presa in giro per chi invece ha ancora anni e anni da scontare, ma non è così, in carcere spesso cresce la ?paura? della libertà, e nessuno si occupa di aiutare chi esce a fare un rientro ?dolce? nella società.
Ornella Favero (ornif@iol.it)
Con R. ho condiviso 4 anni di carcere, anni durante i quali, se c?è feeling, la conoscenza si trasforma in sincera amicizia; si condivide l?angoscia, quando le cose vanno male, e la felicità quando le notizie sono buone. Di R. ?conosco? la famiglia, la voglia di uscire presto dal carcere e di tornare a essere di aiuto alla moglie e ai figli dopo anni di assenza forzata. Il trasferimento ha separato le nostre strade, ma non si è mai interrotta la corrispondenza epistolare. L?argomento principale delle nostre lettere sono sempre i figli e le mogli. Questo fino a un mese fa, quando lui mi ha scritto ?preoccupato? per qualcosa che proprio non aveva previsto: il ?rischio? di essere scarcerato! R., in carcere dal giugno 1993, si era ?illuso? che la Suprema Corte di Cassazione rendesse finalmente definitiva la sua sentenza, così da poter chiedere l?ammissione a una pena alternativa. Ma queste erano previsioni che, nella migliore delle ipotesi, comportavano l?attesa di parecchi mesi, ossia i tempi di fissazione della relativa Camera di consiglio. In realtà lui aveva fatto i conti senza l?oste o, meglio, non aveva affatto preventivato che la Suprema Corte potesse dargli ragione.
«E adesso che il procedimento è stato annullato, che il processo dovrà essere rifatto, non è che tra due mesi mi buttano fuori? D?altronde sai, scadono i 9 anni di custodia cautelare, e non potranno più tenermi?! Proprio oggi parlavo con mia moglie e ho espresso il mio timore nel tornare a casa, non timore nel senso proprio della parola, ma nel senso che dopo 9 anni un estraneo irrompe nella loro vita. Mi spiego meglio: facendo i conti e considerando di aver fatto tutti i colloqui (cosa impossibile), in 9 anni li ho visti 27 giorni. Questo vuol dire che i ragazzi sono cresciuti con la madre, si sono fatti una loro vita. Sono felicissimi che io ritorni a casa, ma sono consapevole che sarà un trauma per tutti e quattro. I rapporti con i figli sono difficili quando si cresce tutti assieme, figurati dopo una lontananza di 9 anni; dovremo riabituarci a convivere tutti assieme nel più breve tempo possibile, dovrò essere io a rientrare pian piano nel loro modo di vivere? Non posso nascondermi dietro a un dito, questa è una delle prove più difficili della mia vita: riconquistare la famiglia, negli affetti e nella fiducia, nell?amore e nella quotidianità».
Marino Occhipinti – Padova
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