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Imu per tutti dal Consiglio di Stato
Pensavate che le norme decise dal governo Monti sull'Imu al non profit fossero troppo rigide? Errore, si può fare anche peggio. Il Consiglio di Stato, in nome dell'Europa, boccia le esenzioni proposte dall'esecutivo e vuol far pagare l'imposta a tutti gli enti non commerciali. Anche quelli che lavorano gratis
Lo spettro è sempre quello dell'Europa. Spettro o paravento, argine reale o comoda scusa non si sa, sta di fatto che il timore di incorrere in sanzioni Ue ha motivato il parere del Consiglio di Stato che chiede al governo di modificare alcuni passaggi chiave del regolamento che disciplina l'applicazione dell'Imu agli enti non profit. I passaggi da modificare sono molto importanti, riguardano una vasta platea di enti non profit e in pratica costringeranno molti di essi a versare l'Imu, assoggettando all'imposta tutti quegli enti che esercitano "attività economica" così come questa viene definita dall'Unione europea.
Qualunque ente ha in essere una convenzione con un ente pubblico, per esempio, o chiede un qualsiasi tipo di retta o contributo all'utenza, anche minima o simbolica, esercita attività commerciale in senso europeo e quindi deve pagare. Signori, non si scappa: devono pagare quasi tutti.
Ma vediamo punto per punto cosa hanno scritto i magistrati nel parere (che comunque non boccia il regolamento, sul quale è stato espresso parere positivo con osservazioni): «Alcune limitate parti dello schema di regolamento», recita il testo, devono essere «ricondotte a coerenza con i menzionati principi comunitari, anche allo scopo di evitare il rischio di una procedura di infrazione». Per evitare le sanzioni, continua il Consiglio di Stato, bisogna quindi «inserire e valorizzare nel testo del regolamento il concetto di attività economica, inteso in senso comunitario».
Non va bene che vengano esonerati dal pagamento dell'Imu – come aveva scritto il governo all'articolo 1 comma 1 lettera p del regolamento – gli enti che attuano "modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro"; no, per evitare le multe europee gli enti non profit non devono esercitare nessun tipo di attività economica "come definita dal diritto dell'Unione Europea".
Nessuna attività economica, niente di niente, se si vuole essere esenti da Imu. Il, Consiglio di Stato però va avanti, e si concentra sulle attività sanitarie, didattiche e recettive (ospedali, scuole e comunità), che il regolamento aveva preso in esame in modo particolare per cercare di definire quali di queste potevano considerarsi non commerciali.In particolare, con riferimento all'attività assistenziale e sanitaria, il Consiglio di Stato contesta il regolamento perché aveva inserito due criteri in base ai quali gli ospedali e le case di cura potevano non versare l'imposta: se avevano in atto una convenzione o contratto con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e svolgevano la loro opera "in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, prestando a favore dell'utenza servizi sanitari e assistenziali gratuiti" o corrisposti dietro il pagamento "di rette di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività convenzionate o contrattualizzate svolte nello stesso ambito territoriale".
Al Consiglio di Stato tutto questo non va bene: se avete una convenzione con l'ente pubblico, cari enti non profit, la vostra attività ha carattere economico e dunque dovete pagare ("il regime di accreditamento, convenzionamento o altro tipo di accordo con le competenti autorità pubbliche non esclude di per sé la sussistenza del carattere economico dell'attività", scrive il Consiglio di Stato) e quanto alla gratuità del servizio e/o alle rette simboliche, non dovete fare i furbi perché questo criterio è innanzitutto "di difficile applicazione" (eh già, la gratuità è talmente bella da non sembrare nemmeno vera), dall'altro "non è in assoluto idoneo a qualificare l'attività come non commerciale".
Capito? Anche se doveste far pagare i vostri servizi 1 euro, cari enti furbetti, quell'euro è attività commerciale e quindi tocca pagare perché l'Europa lo vuole: «Va ricordato che la Commissione europea ha precisato che il fatto che un servizio sanitario sia fornito da un ospedale pubblico non è sufficiente per classificare l'attività come non economica, essendovi in taluni casi un grado di concorrenza tra strutture sanitarie relativamente alla prestazione di servizi sanitari», si legge ancora nel parere. Vengono inoltre suggerite delle modifiche in modo che la nuova formulazione risulti «essere maggiormente idonea ad evitare il rischio di un contrasto con i principi comunitari, e ha il vantaggio di poter essere applicata anche ad altre tipologie di attività».
Non esistono infatti solo gli ospedali o i ricoveri per anziani, le comunità di accoglienza o le mense per i poveri. Ci sono anche le scuole paritarie, per le quali pure non vale il richiamo alla gratuità del servizio o alle rette di importo simbolico, come criterio per l’esenzione. «Tale criterio – scrive la sentenza – non sembra essere compatibile con il carattere non economico dell'attività». Secondo la giurisprudenza comunitaria, infatti – è il mantra del Consiglio di Stato – se la scuola pubblica ha sempre un "carattere non economico" anche se "talora gli alunni o i genitori siano tenuti a pagare tasse di iscrizione o scolastiche per contribuire ai costi di gestione del sistema", per l'istruzione non statale questo fatto non rileva, perché «va distinta l'ipotesi in cui i servizi di istruzione sono finanziati prevalentemente da alunni e genitori o da introiti commerciali». In pratica: se nelle scuole statali i genitori pagano, non è attività commerciale, se pagano nelle scuole paritarie sì, paradossalmente perché pagano di più, quindi gli tocca pagare anche l'Imu (non a loro, alla scuola, che però così farà lievitare le rette, e si ricomincia daccapo).
Insomma il Consiglio di Stato, che nella prima "bocciatura" del regolamento aveva eccepito solo sulla forma giuridica del provvedimento scelto dal governo per precisare i contorni dell'Imu, ora interviene pesantemente sul merito, chiedendo all'esecutivo di modificare la ratio della norma a sfavore del non profit. E sì che il governo stesso era pienamente convinto della congruità delle norme con le richieste europee, tanto da aver riportato gli stessi concetti in una legge (il decreto sugli enti locali, articolo 9 comma 6) e da averla difesa contro le speculazioni di alcuni giornali che accusavano Monti di favorire la Chiesa (e dunque il non profit): "La disposizione è in linea con gli orientamenti più volte espressi dal governo e con le richieste dell'Unione europea", aveva scritto in un comunicato Palazzo Chigi, riferendosi proprio alle disposizioni sull'Imu. Insomma, Monti – che l'Europa la conosce abbastanza bene – credeva di aver fatto un buon lavoro. Il Consiglio di Stato, evidentemente, è più europeista di lui.
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