Non profit
imprese sociali, la vostra rivoluzione è solo all’inizio
Il potenziale dell'economia solidale in Europa
«Il modello tradizionale fatto di Stato e mercato è fallito», spiega Giulia Galera dell’Euricse di Trento. «Quindi è aperto lo spazio per lo sviluppo delle imprese sociali.
A una condizione: che
gli Stati le incentivino
con leggi e fisco amico»
Non chiamatela nicchia. Per lei l’impresa sociale è cosa da rivoluzionari. 37 anni, una laurea in Studi internazionali e diplomatici e un master sulle Organizzazioni non profit, Giulia Galera coordina la ricerca sulle cooperative e le imprese sociali presso l’Euricse, l’Istituto di ricerca europeo sulle imprese cooperative e sociali di Trento.
Per lei il business sociale ha connotati rivoluzionari: «È un efficace mezzo di benessere, di sviluppo e di riduzione della povertà, che scardina la tradizionale definizione di impresa come entità massimizzante il profitto», esordisce Giulia Galera. «Il potenziale di cooperative e imprese sociali è rilevante», spiega. «Dato il fallimento del tradizionale modello dicotomico centrato sullo Stato e sul mercato, ci si attende che cooperative ed imprese sociali si sviluppino ulteriormente nelle società contemporanee».
Vita: Che tipo di rivoluzione hanno portato?
Giulia Galera: Lo sviluppo delle imprese sociali ha implicato radicali cambiamenti. Innanzitutto, il concetto condiviso di impresa come organizzazione che promuove esclusivamente gli interessi dei proprietari è stato messo in discussione dall’emergere di imprese che forniscono servizi di interesse generale e beni dove la massimizzazione del profitto non è più una condizione essenziale. In secondo luogo, il criterio generale per riconoscere benefici fiscali non è più la rilevanza sociale delle attività gestite, bensì la forma legale. Infine, il ruolo dello Stato nella produzione di servizi di interesse generale è stato modificato.
Vita: Nonostante questa portata rivoluzionaria, però, il terzo settore continua a essere considerato una nicchia?
Galera: L’uso di termini diversi (economia sociale, economia solidale, settore non profit, ecc.) per indicare una stessa realtà genera una confusione concettuale che ha un impatto negativo sulla visibilità del terzo settore in generale, che viene dunque visto come “fenomeno di nicchia”, destinato a rimanere marginale. Per quanto riguarda le imprese sociali, l’uso di termini confusi quali “imprenditoria sociale”, che copre una vasta gamma di attività ed iniziative, sia profit che non profit, aumenta la confusione.
Vita: In Europa si dibatte su un eventuale statuto europeo delle fondazioni. Per quanto riguarda le imprese sociali, lei sarebbe a favore di una legge che unificasse a livello europeo l’impresa sociale?
Galera: Data la specificità nazionale del fenomeno affrontato, penso sia consigliabile mantenere le caratteristiche nazionali, tuttavia assicurandosi che alcuni criteri generali siano osservati. Le politiche nazionali dovrebbero supportare e attivare una cornice legislativa e misure fiscali che permettano la piena ripresa delle diverse organizzazioni che compongono il terzo settore e lo sviluppo delle imprese sociali.
Vita: A che punto è la legislazione in fatto di impresa sociale nei vari Paesi europei?
Galera: All’inizio del loro sviluppo, la maggior parte delle imprese sociali veniva costituita sotto forma di cooperativa o associazione. Quest’ultima forma è stata scelta da quei Paesi che a livello legislativo permettevano alle associazioni di vendere beni e servizi sul mercato (per esempio Francia e Belgio). Nei Paesi dove invece le leggi sulle associazioni erano più restrittive (quali i Paesi nordici e l’Italia), le imprese sociali venivano spesso fondate sotto forma di cooperative. Successivamente sono state adottate specifiche forme legislative per le imprese sociali, forme specifiche che consistevano o in un adattamento della formula cooperativa (Italia, Portogallo, Spagna, Francia, e più recentemente Polonia) o nell’introduzione di un più generale schema legislativo per le imprese sociali che tenesse conto sia delle attività che delle forme legali ammesse. Questa seconda tendenza è apparsa per la prima volta in Belgio con l’impresa a scopo sociale, introdotta nel 1995. Questa forma può essere utilizzata da qualsiasi impresa commerciale; tuttavia questo status non ha finora riscontrato molto successo a causa della quantità di criteri addizionali da rispettare e dell’assenza di specifici benefici fiscali. Recentemente, infine, in Italia e nel Regno Unito il legislatore ha favorito un passaggio a forme legali più generali. Inoltre, l’ambito di attività di queste imprese sociali si è ampliato: oltre ai servizi di welfare, forniscono infatti sempre più servizi di interesse generale (servizi culturali e ricreativi, attività a tutela dell’ambiente, housing sociale, supporto alle economie dei Paesi in via di sviluppo).
Vita: C’è qualche sito che vorrebbe consigliare ai nostri lettori?
Galera: Certo: www.euricse.eu, il portale dell’Istituto di ricerca europeo sulle imprese cooperative e sociali, presso il quale attualmente lavoro; www.emes. net, sito del Network di ricerca europeo; www.unisonojazz.it, sito di un’organizzazione non profit nel campo della musica che ho contribuito a fondare ai tempi dell’università.
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