Formazione

Imprese, l’Onu vi guarda

Per evitare il rischio che le multinazionali che aderiscono al programma si "sciaquino nella bandiera blu", il Palazzo di Vetro intende fare sul serio.

di Sandro Calvani

Quando il segretario generale dell?Onu Kofi Annan decise di occuparsi di responsabilità sociale d?impresa con l?iniziativa del Global Compact, c?era preoccupazione in giro. Addirittura vi furono denunce da parte di alcune ong, furono scritti libri bianchi sul rischio che le imprese si «sciacquassero nella bandiera blu». Effettivamente il rischio c?era, perché molte aziende avevano già alle spalle una grossa esperienza di fondazioni d?impresa che usavano per ?ripulirsi la faccia?. Alcune sono fondazioni che fanno anche ottimi lavori, che hanno un?amministrazione indipendente, che si avvalgono di criteri di scelta dei loro programmi simili, se non migliori dei nostri. Però non è affatto detto che se la Fondazione Bill&Melinda Gates riceve soldi dalla Microsoft e come fondazione Gates fa ottime cose, la Microsoft sia tutta buona.
In fondo anche i mecenati della storia, o i dittatori, avevano rispetto per l?arte e per la cultura e costruivano ospedali, ma la storia non ha permesso di dare un giudizio positivo su queste persone. Quindi il rischio c?era e la nuova ?mossa? della sottocommissione dei diritti umani delle Nazioni Unite di prevedere sanzioni per le imprese ?irresponsabili? rientra un po? nel tentativo di regolamentare. Già le 9 regole del Global Compact, se prese sul serio, sono buone (adesso sono 10, una è stata aggiunta di recente per la lotta alla corruzione e, in generale, per la lotta al crimine organizzato). Si tratta di un inizio, ci sarà un ampio dibattito a livello internazionale, dapprima tutto si baserà sull??autoregolamentazione?, poi, come è sempre stato nella storia dell?Onu, nasceranno le cosiddette buone pratiche. L?importante è che sia stato dato un indirizzo.
Uno degli effetti principali della globalizzazione, infatti, è che i governi non sono più in grado di regolamentarla da soli. Le imprese svolgono un ruolo importante in proposito, soprattutto nelle aree più povere del mondo. Dove non esiste una legislazione forte, le imprese hanno più peso dei governi. Le scelte d?impresa sono quelle che decidono il futuro della vita dei bambini, se l?acqua e l?aria sono pulite, se le vaccinazioni sono possibili, se si va a scuola oppure no. Il fatto che le imprese comincino a essere ritenute responsabili, dunque giudicabili, è un passaggio importante. Certi bilanci d?impresa sono più grandi di quelli di certi Paesi del Terzo mondo e dunque non era più accettabile la situazione per cui i Paesi venivano messi al microscopio da Amnesty International con un rapporto annuale e non c?era un sistema di controllo per tali questioni.
Pensare che un governo esiste solo quando c?è un posto di polizia vuol dire dare per buone le norme così come le abbiamo noi in Occidente. Di fatto quello che lì conta sono le imprese che cercano il petrolio, costruiscono le strade, lavorano l?olio di palma, e dal comportamento delle imprese dipende il rispetto dei diritti umani. C?è molta buona volontà in giro: raramente incontro dirigenti di impresa che mirano solo a fare soldi infischiandosene degli effetti sulle persone e sull?ambiente. Il problema, semmai, sono le assemblee degli azionisti, i loro direttori generali, le associazioni di categoria. Però siamo di fronte a un cammino possibile, un cammino che oggi è stato scelto a livello ufficiale dalle Nazioni Unite.

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