Economia

Imprese a “emissioni zero”

Sono sei le aziende italiane ammesse al Carbon Disclosure Leadership Index

di Andrea Di Turi

A chiedere alle imprese di tenere sempre più sotto controllo l’impatto  ambientale della loro attività non sono più solo ambientalisti e consumatori  critici. Ora ci si mettono anche i grandi investitori istituzionali, sempre  affamati di profitti e di tutte le informazioni che possono risultare utili  a conseguirli.

Perché oggi, fra queste informazioni, rientrano a pieno  titolo quelle che possiamo definire genericamente “ambientali”: è sempre  più evidente, infatti, che è anche da come un’azienda dimostra di saper  gestire il proprio impatto ambientale che si giudica la sua capacità di  produrre profitti nel lungo periodo. Cdp-Carbon Disclosure Project è un’iniziativa  non profit arrivata a riunire oltre 500 grandi investitori istituzionali  che gestiscono risorse per più di 64mila miliardi di dollari, che da un  decennio verifica appunto quali informazioni le maggiori imprese del mondo  rendono disponibili relativamente alle loro emissioni di CO2, e cioè quelle  che più contribuiscono a provocare il riscaldamento globale, e sulle strategie  che adottano per ridurle.  

L’ambiente, strumento di business Col supporto  di PricewaterhouseCoopers, Cdp ha appena presentato il suo secondo rapporto  sull’Italia, dove ha esaminato le 60 maggiori aziende quotate in Borsa. Solo  21 di queste hanno risposto al questionario di Cdp, una percentuale ancora  bassa (35%) se confrontata all’80% delle aziende Global 500, le più grandi  del pianeta. A fornire le migliori risposte è stata Eni, davanti a Terna,  A2A, Fiat, Banca Mps – che è partner per la realizzazione del rapporto  sull’Italia ed è risultata la banca italiana più virtuosa – e Italcementi:  queste sei aziende hanno dimostrato un livello di trasparenza informativa  tale da poter essere inserite nel Cd Leadership Index con le migliori del  mondo.

Particolarmente interessante un dato emerso un po’ da tutti i rispondenti:  la sfida ambientale non è più vista solo come un rischio da contrastare,  ma come un’opportunità da cogliere per rendere il proprio business più  competitivo, più avanzato tecnologicamente, più sostenibile. E così più  dei due terzi delle aziende si sono dotate di una commissione o di un organismo  esecutivo dedicato ai cambiamenti climatici e che riporta direttamente  al Cda.  Banca a impatto zero «Per noi seguire il Cdp è stato naturale»,  dice Francesco Mereu, manager della Responsabilità sociale di Gruppo Mps.  

«Su questi temi da anni, infatti, ben prima delle sollecitazioni del Cdp,  abbiamo prodotto una politica ambientale. In particolare, da quest’anno  l’indicatore delle emissioni di CO2 generate dall’azienda assumerà ancora  più importanza perché è stato inserito fra quelli rispetto ai quali sono  misurate le performance di alcune strutture interne e vengono determinati  gli eventuali premi.

Per questo abbiamo sviluppato negli ultimi mesi un  sistema di rendicontazione delle emissioni di CO2 ancora più robusto e  da due anni abbiamo elaborato una policy specifica sul climate change che  ci impegna su strategie interne e di mercato». Particolarmente sfidante  l’obiettivo che si è posta Banca Mps per il 2013: diventare carbon neutral,  cioè azzerare completamente le emissioni di CO2.                         

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