Impresa Sociale: trasformare per re-distribuire

di Paolo Venturi

All’origine del ciclo di vita di tutte quelle imprese che si sono dimostrate capaci di produrre cambiamenti sistemici, c’è sempre un’innovazione radicale...ne è prova l’innovazione apportata dalla cooperazione sociale. Un’innovazione di rottura rispetto al modello allora esistente, capace di produrre quei cambiamenti culturali ed economici ai quali oggi dobbiamo gran parte del nostro benessere e della qualità sociale dei servizi pubblici; un’innovazione che ha impattato sia sui diritti di cittadinanza ma anche sullo sviluppo, proponendo un nuovo modello di produzione del  valore capace di legare il valore  economico al bene (interesse generale) della comunità.

A mio avviso due sono le innovazioni radicali che hanno generato questo impatto: la prima è quella di aver dimostrato che le politiche pubbliche possono essere progettate, realizzate e condivise da soggetti imprenditoriali e la seconda è quella di aver mutato “la definizione monolitica”  di impresa,  rompendo la dicotomia fra dimensione produttiva e interesse generale.

Dopo quasi 25 anni dalla Legge 381, rileggendo l’ultimo rapporto di Iris Network emergono alcuni elementi di innovazione che al pari di quelli “originari” (che han generato un fatturato 10,1 miliardi di euro, investimenti per 8,3 miliardi e 513mila posti di lavoro) incorporano un potenziale enorme. Sono “tratti” di una nuova imprenditorialità (spesso a matrice cooperativa) che perseguono la propria mission attraverso percorsi di trasformazione e non più di mera re-distribuzione.

L’orizzonte dell’impresa sociale del futuro e il compito della nuova Riforma, a mio avviso, starà molto nell’abilitare questi nuovi modelli di imprenditorialità inclusiva come risposta a nuovi bisogni: modelli che seguono percorsi non più re-distributivi ma trasformativi.

Recuperare le origini significa riconnettere le risposte ai bisogni (e non solo al committente) attivando nuovi modelli di co-produzione con la comunità (soggetto portatore non solo di interessi  ma anche di risorse) alimentando  governance plurali.

La sfida della moltitudine dei nuovi bisogni postula la creazione di governance plurali (a volte ibride) che sfidano i cittadini-consumatori a votare col portafoglio (buy social). Se la produzione di valore sociale non passa più “solo” per la re-distribuzione o per la re-stituzione (modello filantropico) ma per la trasformazione,  allora ben si comprende come il campo di azione delle imprese sociali non possa essere delimitato. Limitare i settori in cui l’impresa sociale può operare diventa quindi una “gabbia” che rischia di ridurre la capacità trasformatrice degli imprenditori sociali. Le dinamiche economico-sociali e i settori  sono ormai interdipendenti per cui se la sfida è quella dello sviluppo a “tutto tondo” attraverso nuovi modi di produrre valore economico e sociale  alimentando (e non consumando) fiducia,  allora il campo deve essere aperto.

C’è in gioco il “welfare del futuro”. L’incapacità di competere a causa dell’assenza di un adeguato ecosistema di policy, di risorse finanziare, tecnologiche e di competenze non farebbe altro che agevolare quel for profit già ampiamente posizionato sui mercati dei servizi alla persona ( in Emilia Romagna negli anni 2008-2013 l’assistenza sociale residenziale ha visto crescere gli addetti del for profit del 39,8% e la cooperazione del 15,8% e nella assistenza sociale non residenziale rispettivamente del 17,7% e dell’8,3% – Dati Unioncamere ).

Occorre una Riforma capace di abilitare nuovi percorsi di trasformazione della PA e di ri-generare nuovi modelli di sviluppo; modelli  che poggino su asset tipicamente non delocalizzabili (cultura, turismo, ambiente, agricoltura, sociale, ecc.) attraverso modelli imprenditoriali inclusivi (e partecipati) capaci di legare il valore ai soggetti (lavoro) e ai luoghi (comunità) che lo producono.

Se è vero che la riduzione delle disuguaglianze postula una più equa redistribuzione, è altrettanto vero che oggi il miglior modo di redistribuire è trasformare il modo di produrre.

Perseguire questa innovazione di metodo è la nuova sfida dell’impresa sociale e sostenere questo tentativo è il compito di una Riforma che guarda al futuro.

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