Non profit

Impresa sociale, riprendiamola in mano

Paola Menetti rilancia con forza la sfida

di Luca Zanfei

«Questa legge per ora è fallita per l’evanescenza con cui è stata approcciata dalle istituzioni»Già durante il congresso nazionale di ottobre aveva sconfessato il mito del “piccolo è bello”, definendo le esigue dimensioni delle cooperative come «un freno allo sviluppo». Oggi Paola Menetti, presidente di Legacoopsociali, affonda il colpo. «La nostra identità di cooperative sociali non è il guscio protettivo nel quale chiudersi».
SocialJob: Perché tornate a parlare di impresa sociale proprio adesso, dopo un periodo di silenzio e scetticismo?
Paola Menetti: Perché oggi si impone un ripensamento del welfare e dunque del nostro ruolo, sia come cooperazione sociale che come terzo settore. Il contesto dice che nella crisi da un lato si impoveriscono le famiglie, dall’altro si ridimensionano i servizi, mentre sarebbe il caso di andare nella direzione opposta, potenziando il welfare. Le prospettive ci dicono che il nuovo welfare non potrà essere esclusivamente pubblico, ma dovrà fondarsi su una sussidiarietà più matura. In questo scenario, il ruolo e lo sviluppo dell’imprenditoria sociale è oggettivamente strategico, per la sua capacità di produrre insieme valore sociale e valore economico. Ci preoccupa invece la scarsa sensibilità che ci pare di avvertire rispetto al fatto che lo sviluppo degli interventi nel campo del welfare, dell’ambiente, dell’istruzione può essere un fattore rilevante anche per la ripresa e per lo sviluppo dei territori e del Paese.
SJ: Come spiegate questo insuccesso? Sembra che il vostro messaggio non arrivi alla base…
Menetti: Da un lato le cooperative si sono trovate davanti a difficoltà burocratiche non piccole, basti pensare che fino a pochissimo tempo fa molte Camere di commercio non avevano attivato i registri delle imprese sociali. Dall’altro, e soprattutto, si è percepito, nei territori, da parte delle istituzioni ma anche dei soggetti sociali ed economici, un disinteresse diffuso ed evidente. Rimanemmo molto colpiti dal fatto che nel Libro Verde del ministro Sacconi l’impresa sociale non fosse nominata una sola volta. Le cooperative hanno percepito questa complessiva evanescenza di senso, e si sono mosse di conseguenza. Questo è il dato che ha inciso di più, ben più che la mancanza di espliciti “vantaggi”.
SJ: Non aiuta nemmeno il fatto di ritornare sull’impresa sociale e contestualmente insistere per un aggiornamento della 381. Sembra un po’ contraddittorio?
Menetti: Nessuna contraddizione, invece. L’impresa sociale non può eliminare le identità, anzi deve essere un insieme di soggetti diversi, ciascuno con le proprie caratteristiche. Non si può certo negare una differenza sostanziale tra un ente ecclesiastico e una cooperativa sociale, che pure, ai sensi di legge, possono entrambi qualificarsi come imprese sociali. Noi siamo cooperative sociali, e la 381 resta il nostro riferimento sostanziale, e non pensiamo affatto che vada superata. Semplicemente, a vent’anni dalla sua emanazione, alcuni punti vanno adeguati ai tempi. Ne abbiamo indicati due, relativi agli artt. 4 e 5, rispetto quindi alle categorie di soggetti svantaggiati ed alle modalità di rapporto con le istituzioni pubbliche.
SJ: E adesso come vi muoverete per riaprire il dibattito tra le vostre associate?
Menetti: In primo luogo informando. Inoltre cercheremo di fornire strumenti pratici e in questa direzione sta andando il gruppo di lavoro sul bilancio sociale. Infine ci muoveremo a livello istituzionale: ben venga il tavolo intercamerale proposto nel nostro seminario dal vice presidente del Senato, Chiti.
SJ: Carlo Borzaga propone di sperimentare forme di collaborazione tra diversi soggetti per offrire servizi complessi e più efficaci. Voi cosa ne pensate?
Menetti: Ci stiamo già muovendo su questa strada, e non da oggi. In primo luogo, promuovendo rapporti con forme di aggregazione della domanda, privilegiando tra esse quelle orientate in senso partecipato e solidale, a partire dalla mutualità volontaria, dalle realtà della cooperazione tra utenti e dalle organizzazioni di rappresentanza d’utenza nei territori; poi, costruendo percorsi di integrazione progettuale ed operativa con altri soggetti sociali ed economici, non soltanto cooperativi.
SJ: E per quanto riguarda la proposta di Borsa sociale avanzata da Zamagni?
Menetti: È un’idea da sviluppare: trovare nuove fonti di approvvigionamento di risorse, in primo luogo per investire, è esigenza “strategica” per un settore come il nostro, che seppur fortemente cresciuto è ancora caratterizzato da non sufficienti livelli di capitalizzazione, da molte criticità nell’accesso ai finanziamenti e da una dipendenza marcata dal finanziamento pubblico.

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