Economia

Impresa sociale, ora l’Europa vuole vedere i risultati

Al via i lavori della "Social Entrepreneurs: have Your Say", meeting organizzato dalla Commissione a cui parteciperanno oltre 2mila imprenditori sociali. Luca Jahier: «Ecco le tre sfide sul tappeto»

di Luca Jahier

Si apre domani a Strasburgo la "Social Entrepreneurs: have Your Say", la due giorni con cui la Commissione europea ha convocato nella città alsaziana gli imprenditori sociali europei. Sono attesi oltre 2mila partecipanti. Per Vita.it seguirà i lavori la nostra inviata Ottavia Spaggiari. Quali le sfide sul tappeto e quali le opportunità che apre un evento di questo tipo? Lo abbiamo chiesto al nostro blogger Luca Jahier, presidente del Gruppo III del Cese. Ecco la sua risposta:  

"Ben pochi avrebbero potuto aspettarsi un simile risultato quando 8 anni fa al Cese mettemmo a punto una precisa strategia di lavoro per riportare al centro dell’agenda europea l’economia sociale.
Si intravedeva l’urgenza di fare riuscire dal cono d’ombra il settore e di far riconoscere la consistenza del suo contributo allo sviluppo economico, all’occupazione e alla tenuta sociale in Europa. Storico fu il parere del collega spagnolo Miguel Angel Cabra de Luna, sulla “Diversità delle forme di impresa”. Fu seguito da una prima ricerca del Cese, poi aggiornata nel 2012, dove si rese chiara la sua resilienza in periodo di crisi: in Europa questo settore vale il 10% del Pil europeo e il 6,5% degli occupati, con una crescita negli ultimi 8 anni di oltre il 30% , con punte del 40% in Italia.  Insomma un settore che ha ancora una volta dimostrato che la teoria del mutuo vantaggio, formulata da David Ricardo nel 1815, alla fine produce crescita. Occuparsi di più delle diseguaglianze che della crescita finisce per aumentare la tenuta sociale, diminuire i costi del sistema e incrementare la crescita stessa, generando peraltro molta innovazione.

A quel primo parere ne fecero seguito altri, così come, dopo tre anni di pressioni, il Parlamento europeo approvò il parere Toia sull’economia sociale (genn. 2009), che fu poi la base di lavoro della legislatura seguente. E su questo si basò l’iniziativa dei tre Commissari europei, Andor, Barnier e Tajani, con il varo della Social Business Initiative (ottobre 2011) e con la recente priorità orizzontale sula economia sociale nel quadro del nuovo Regolamento per il Fondo sociale 2014-2020.

In estrema sintesi questo è il lavoro che sta alle spalle dell’evento di Strasburgo che si apre domani, con il quale la Commissione europea e il Cese vogliono offrire una piattaforma di largo confronto tra tutti gli attori interessati e ai poteri pubblici dei diversi Paesi europei di catalizzare l’attenzione sui molti nodi ancora da sciogliere e di fare l’agenda delle priorità per il futuro quinquennio. Duemila partecipanti attesi, 15 Direzioni generali della Commissione Europea e la Sezione Mercato interno al lavoro per alcuni mesi, con oltre 60 funzionari europei per preparare un evento di amplissimo spettro e sul quale sono certamente numerosissime le attese.

Le sfide maggiori mi paiono le seguenti. In primis trasferire il lavoro fatto a livello europeo ai singoli Stati membri, dove generalmente rimangono molti problemi di riconoscimento del settore, di contesto giuridico e fiscale che ne faciliti lo sviluppo.

Una seconda sfida è quella che concerne il finanziamento delle diverse forme di economia e impresa sociale. L’apertura ai privati, le nuove prospettive del servizio pubblico e del public procurement, gli interessi della finanza privata di entrare nel settore con i propri mezzi e le proprie logiche sono ormai in agenda e generano reazioni assai diverse. Dagli entusiasmi un po’ troppo facili alle paure di contaminazione e di snaturamento dei soggetti e del loro lavoro.


Una terza sfida è tutta relativa alla crescita dei soggetti tradizionali, alla creazione di nuovi intrecci e alleanze a livello europeo (per esempio il ruolo delle mutue oggi presenti in modo consistente solo in alcuni Paesi). In questo quadro rientra anche il delicato problema delle alleanze tra esperienze di impresa sociale assai diverse nei diversi Paesi europei, così come il rapporto con i settori delle imprese for profit, che ancora resta tutto da esplorare, dopo i ben magri risultati dell’esperimento britannico della Big society.

Per queste sfide risulterà poi del tutto rilevante lo sviluppo di indicatori e criteri di valutazione condivisi e riconosciuti in termini di misurazione di impatto degli investimenti, della capacità di creare valore nelle diverse aree di intervento, spostando dunque il confronto dalle pur importanti definizioni dei principi alle più prosaiche questioni di identificazione e promozione dei risultati. Questo rinnovato interesse strategico, ora incardinato a livello europeo su una strategia di lungo periodo, non è però che i primo capitolo di una sfida ancora più grande cui questo settore così creativo e innovativo è chiamato a dare il proprio pezzo di contributo dopo Strasburgo. Vale a dire quello di un riequilibrio complessivo dell’impianto di sviluppo delle economie del continente, di un ripensamento forte nel senso di una maggiore capacità di imprenditività sociale e di sussidiarietà  dei sistemi di welfare e della dimensione sociale dell’Unione Economia e Monetaria. Le imprese sociali stanno infatti già dando un contributo fattivo e crescente all’economia e alla buona occupazione europea, assicurando da un lato incrementi non marginali di efficienza dei servizi pubblici , e dall’altro contribuendo, attraverso il suo specifico sistema di governance, alla produzione e riproduzione di un bene raro e fragile, ma indispensabile, che è la fiducia.  Mi auguro che Strasburgo sappia rendere evidente questa chiave distintiva, e sollecitare gli stessi soggetti ad assumere nuovi rischi e nuovi profili organizzativi.

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