Non profit
Impresa sociale, in Europa è ancora una babele
Riflessioni a margine di un convegno promosso dalla Commissione a Bruxelles
di Redazione
Una ricerca promossa dalla DG Impresa e industria riassume tutte le contraddizioni e le criticità di cui soffre questo settore
a livello comunitario: confusione definitoria, mancanza di conoscenza del fenomeno e delle sue caratteristiche,
scarsa valorizzazione
Le politiche e le pratiche legate allo sviluppo dell’impresa sociale in Europa sono state discusse da organizzazioni di terzo settore, policy maker e ricercatori che hanno partecipato alla European Conference on Social Enterprise, promossa dalla DG Impresa ed Industria e svoltasi lo scorso 6 marzo 2009 a Bruxelles. Obiettivo della conferenza era la presentazione e condivisione con esperti del settore di uno studio riguardante 31 Paesi – «Pratiche e politiche nel settore dell’impresa sociale» – commissionato dalla DG Impresa e Industria e coordinato dalla Fondazione austriaca KMU. Discussant e partecipanti hanno unanimemente criticato la qualità scientifica dello studio, in larga parte attribuibile alla scarsa conoscenza del tema da parte degli studiosi coinvolti, che assimilano semplicisticamente l’impresa sociale alla piccola e media impresa, ignorandone caratteristiche distintive, vantaggi e limiti rispetto ad altri modelli istituzionali.
Come ribadito da un gran numero di partecipanti, lo studio è caratterizzato da una profonda confusione terminologica, che porta gli autori ad usare indistintamente definizioni riferibili a fenomeni diversi (ad esempio, impresa sociale ed economia sociale). Emerge in particolare una insufficiente conoscenza della letteratura internazionale e delle dinamiche evolutive dell’impresa sociale a livello di singoli casi nazionali trattati (ad esempio l’esperienza pioneristica italiana non è riconosciuta come tale). Oltre a non essere in grado di definire adeguatamente il fenomeno trattato, gli autori non si soffermano sufficientemente sui vantaggi competitivi dell’impresa sociale rispetto ad altri assetti istituzionali (agenzie pubbliche e imprese for profit). Di qui l’incapacità di cogliere le ragioni che ne determinano lo sviluppo e le differenze riscontrabili a livello di singoli casi nazionali. Inoltre non viene riconosciuta l’autonoma capacità delle imprese sociali di svilupparsi in settori di interesse della comunità. Gli autori propongono un’interpretazione del fenomeno fortemente top-down, omettendo di sottolineare una delle caratteristiche peculiari delle imprese sociali, ovvero il forte radicamento comunitario.
Venendo alla classificazione dei settori di attività, lo studio considera le imprese sociali prevalentemente come imprese di inserimento lavorativo. Oltre a non riconoscere opportunamente il valore delle imprese sociali che producono servizi di interesse generale di altro tipo, gli autori confondono le più innovative iniziative di inserimento lavorativo – produttive e in grado di remunerare adeguatamente i lavoratori svantaggiati inseriti – con i più tradizionali laboratori protetti. Quanto agli aspetti più prettamente organizzativi e manageriali, la fondazione austriaca si limita a proporre un’analisi sommaria dei modelli organizzativi adottati, che ignora il diverso grado di maturità raggiunto dal fenomeno nei diversi Paesi.
La stessa mancanza di sistematicità e conoscenza del fenomeno prevale anche nell’analisi delle strutture di supporto, forme giuridiche, politiche e casi studio, nella maggioranza dei casi non rappresentativi di quelle che sono interessanti esperienze di successo a livello nazionale. Infine, dal punto di vista metodologico, l’approccio utilizzato è molto debole soprattutto da un punto di vista quantitativo.
Detto questo, la conferenza ha riconfermato la profonda marginalità rivestita dal tema presso le istituzioni comunitarie e l’incapacità delle stesse di cogliere appieno ruolo e potenzialità di questa forma istituzionale. Oltre alle oggettive lacune del rapporto, la discussione successiva ha ribadito il contributo dell’impresa sociale a supporto del modello sociale europeo e alla definizione di un paradigma di sviluppo alternativo. Sono tuttavia emersi anche alcuni aspetti di criticità, che sono di ostacolo al riconoscimento e allo sviluppo di adeguate politiche di sostegno per l’impresa sociale, sia a livello nazionale che comunitario. Tra questi, la profonda confusione definitoria, dovuta all’utilizzo di più concetti (economia sociale, terzo settore) da parte delle organizzazioni di settore e l’assenza di un “fronte comune”, essendo spesso prevalente la volontà narcisistica di rappresentare la propria organizzazione.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.