Economia
Impresa sociale: fatta la legge, ora serve l’ecosistema
«Solo se avremo strumenti ad hoc che permettano di remunerare sul lungo periodo investimenti sull’innovazione sociale e sul welfare, potremo sbloccare e sfruttare il potenziale dell’impresa sociale», sottolinea il presidente del consorzio cooperativo CGM, Stefano Granata. «Ma la politica deve avere il coraggio di pensare al welfare come ad un asset strutturale del Paese strategico sia in ambito industriale ed economico che lavorativo e assistenziale»
L’impresa sociale è un’opportunità irrinunciabile perché si possa cominciare a parlare davvero di sviluppo di comunità in questo Paese. Si tratta infatti di un modello economico, più unico che raro, che ha in sé una duplicità straordinaria: garantisce sostenibilità ma anche una capacità redistributiva più equa.
E l’Italia ha bisogno di diminuire la forbice tra chi ha e chi invece non ha. L’impresa sociale però deve diventare anche un luogo dove i giovani giochino veramente la propria professionalità e le proprie ambizioni costruendo il proprio futuro. Un luogo dove possano cercare lavoro e ricchezza per sé e per gli altri.
Un esempio? Recentemente Save the Children ha divulgato alcuni dati sulla povertà in Italia. Tra le tante voci si parla di 1,3 milioni di minori che vivono in stato di indigenza e sono esclusi da ogni opportunità e svago. Non significa solo povertà educativa ma anche che, per questi bambini, non c’è spazio per il gioco, per le proprie passioni e per una vita familiare felice. È qualcosa che questo Paese non si può permettere. Va ricostruito un ascensore sociale e a farlo può e deve essere l’impresa sociale che è in grado di garantire, andando ad occuparsi di chi in questo momento è escluso dal welfare, una risposta ai bisogni e insieme un’opportunità lavorativa ed economica.
Quando si parla di sviluppo di comunità in termini di abitare, turismo, cultura, innovazione e salute ci si riferisce infatti a quella terra di mezzo che fa convergere gli interessi di tutti. Compresi i capitali e gli investimenti. Quello che manca oggi è un ecosistema e che non è dato dall’aver fissato delle regole, che la Riforma del Terzo settore fortunatamente ha introdotto. Servono oggi strumenti che rendano queste regole attuabili. Penso ad esempio all’accesso al mondo della finanza. Tutti parlano di questi famosi capitali pazienti che rimangono però qualcosa di non sperimentato. Solo se avremo strumenti ad hoc che permettano di remunerare sul lungo periodo investimenti sull’innovazione sociale e sul welfare, potremo sbloccare e sfruttare queste risorse.
Per questo la politica deve avere il coraggio di pensare allo sviluppo per i prossimi vent’anni e non solo per il prossimo triennio. E lo deve fare pensando al welfare come, non solo ad un insieme di servizi, ma come ad un asset strutturale del Paese strategico sia in ambito industriale ed economico che lavorativo e assistenziale.
L’impresa sociale dal canto suo infine deve necessariamente sviluppare propensione al rischio e al cambiamento aprendo alle nuove generazioni, verso cui deve avere fiducia. I nostri ragazzi hanno dentro di sé il Dna della società del futuro.
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