Welfare

Imprenditori sociali in aula. Senza le ansie dei don

di Flaviano Zandonai

Leggo sempre volentieri i pezzi di Dario Di Vico sul Corriere. E mi piace anche il suo blog (se solo funzionassero i feed mannaggia!). Domenica parlava della voglia di formazione dei piccoli imprenditori, folgorati sulla via del toyotismo (dopo che la Toyota ha chiuso l’anno col suo primo rosso dalla fondazione, ma essendo stata costituita 71 anni fa lo si può considerare un indicatore della bontà del modello). E gli imprenditori sociali, se vanno ancora in aula dopo la sbornia da fondo sociale europeo, cosa cercano? Cosa vogliono sentire? Secondo me, a differenza dei colleghi delle PMI for profit, c’è un ritorno di fiamma per “scenari” e “fondamenti” e un raffreddamento per strumenti e pratiche gestionali. Forse perché è proprio quello che fanno. Maneggiano elementi di cultura e di valore (i fondamenti) che declinano nelle mille forme dei loro sistemi relazionali (gli scenari): dal rapporto con l’utente e la sua famiglia fino al piano di zona con l’assessore, dal giovane in servizio civile all’operatore in burn-out. E forse perché hanno perso fiducia sull’efficacia di alcuni strumenti – qualità, accreditamento, ecc. – da cui si aspettavano un pò di aiuto per “alleggerire” un carico relazionale a volte eccessivo. Eppure non demorderei su questo fronte. Non è molto di moda lo so, ma strumentarsi di più e meglio proprio non guasterebbe, senza paura di diventare burocrati come paventava il beato don Gnocchi. O, in alternativa, facilitare qualche new entry con competenze specifiche, senza aspettare troppo come don Mazzi.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.