Welfare

Imprenditori sociali & changemakers, punto di contatto cercasi

Negli scorsi giorni nel capoluogo piemontese sono andati in scena l’assemblea di Torino social impact – l’associazione che fa da ombrello all’ecosistema cittadino – e il summit di Ashoka, una delle principali reti internazionali di innovatori sociali. Due appuntamenti dai toni e dalle istanze diversi

di Andrea Biondello* e Daniele Caccherano

Forse non è una novità che Torino rappresenti un importante ecosistema di impatto sociale a livello nazionale. Ma certamente in questi giorni la consapevolezza si è rafforzata grazie a due eventi particolarmente rilevanti e concomitanti: l’assemblea di Torino social impact – l’associazione che fa da ombrello all’ecosistema cittadino – e il summit di Ashoka, una delle principali reti internazionali di innovatori sociali. Cosa ci restituiscono queste iniziative oltre alla consapevolezza di poter operare, finalmente, in un contesto che occupa una posizione di centralità rispetto a tematiche così rilevanti? L’occhio con cui guardiamo è quello di imprenditori sociali che si collocano in una posizione intermedia: espressione delle radici lunghe della socialità e del mutualismo torinese e al tempo stessi orientati a investire nella “new wave” di innovazione sociale e tecnologica di questo ultimo decennio.

Torino social impact sembra pronta a inaugurare una nuova fase del suo ciclo di vita che consiste nel mettere all’opera la sua rete accompagnando progettualità di impact economy anche senza “intestarsele” direttamente. Un esempio interessante di sussidiarietà orizzontale che forse potrebbe essere scalato in altri contesti seppur con condizioni di attivazione piuttosto impegnative. Fondazioni, imprese, centri di ricerca, corpi intermedi, ecc. sono distribuiti in modo sempre più ineguale nel nostro Paese e quindi servono sforzi preparatori in primis per rigenerare tali risorse e poi, particolare non da poco, per coalizzarle. In tal senso dalla stessa assemblea è emersa una chiara aspettativa rispetto al ruolo trainante esercitato su questi processi da parte di un Terzo settore che, anche per questa sua capacità, viene riconosciuto come più evoluto.

Diversi invece i toni al summit di Ashoka. Soprattutto nelle sessioni internazionali si respirava un clima più improntato al radicalismo delle proposte. Invece che orchestrare e ricombinare le risorse per riallineare economia, socialità e tecnologia in una prospettiva integrale, l’impegno dei changemakers appare più focalizzato su azioni di advocacy che chiedono “semplicemente” di piegare qualsiasi scelta e decisione – dai comportamenti di consumo alle strategie organizzative fino alle politiche – rispetto alle esigenze del pianeta. Niente o pochi retropensieri rispetto a elementi di sostenibilità economica e altre esternalità dei processi, un po’ per l’imprinting “eroico” che caratterizza la cultura sociale di questa rete, un po’ perché il tempo per una transizione governata per via incrementale non c’è più. Basti pensare alle faticose trattative di Cop26 chiosate dal “bla, bla, bla” di Greta Thumberg.

Comunque la si pensi è comunque chiaro che anche per noi imprese sociali è giunto il tempo di fare una mossa nella direzione dell’impatto sociale. In primo luogo “accendendo le luci” su investimenti già in essere che contengono un potenziale trasformativo magari ancora inespresso perché ingessato dentro schemi regolatori più improntati alla gestione che al cambiamento. In secondo luogo capitalizzando conoscenze e know how su attività di supporto – progettazione, accompagnamento, valutazione – intorno alle quali sono maturate in questi anni competenze distintive grazie anche a un rapporto non estemporaneo con altri attori dell’ecosistema. Infine lanciare iniziative a “impatto nativo” grazie a un vettore dedicato dove sia possibile non solo ideare e prototipare ma anche testare l’impatto trasformativo e il ritorno economico di soluzioni in risposta a quelle sfide che contribuiranno a disegnare un modello di città dove l’innovazione e l’imprenditorialità sociale potranno fare da architrave e non solo da complemento.


*Andrea Biondello, cooperativa sociale Accomazzi, Consorzio nazionale Cgm e **Daniele Caccherano, cooperativa sociale Liberitutti

Photo by Fabio Fistarol on Unsplash

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.