Welfare

Imprenditori dalla piattaforma

di Flaviano Zandonai

L’imprenditorialità diffusa è uno dei fenomeni che più caretterizza la contemporaneità. Torna alla mente il titolo di un libro di qualche anno fa (e la sua orrenda copertina): la società imprenditoriale. Le ambivalenze abbondano: dalle partita Iva costrette a intraprendere (come i punk a sanguinare) fino a esperienze, alcune maturate in ambito non profit, che ambiscono programmaticamente a modificare i connotati dell’imprenditore. Cambiano gli oggetti della produzione e con essi l’archetipo dell’imprenditore. Prima la fabbrica fordista e il capitano d’industria. Ora l’immateriale dei servizi e, per l’appunto, un pluriverso di profili imprenditoriali. La diffusione e la diversificazione del fenomeno porta inevitabilmente con sé un fabbisogno di supporto per formare le competenze, rappresentare le istanze, forgiare culture e valori di riferimento. Ecco quindi che l’imprenditorialità diffusa si dota, quasi sempre da sé perché lo Stato è l’ancien regime, di strutture dove queste esperienze trovano risorse per nascere e crescere. Dagli spazi di coworking, alle reti d’impresa. Dagli incubatori ai master. Ma non solo. Le piattaforme dell’imprenditoria sono sempre più luoghi di sense making che aggregano sulla base di culture e approcci comuni. Me ne sono reso conto durante l’ultimo Workshop sull’impresa sociale. A proposito, l’impresa sociale è una delle principali e insieme più sottovalutate esperienze di innovazione imprenditoriale degli ultimi trent’anni. Innovativa anche perché ha messo in piedi non solo nuove imprese ma nuovi modelli d’impresa in settori – come i servizi sociali – dove la tradizione dominante era quella burocratico amministrativa. Durante il Workshop sono state presentate due piattaforme su e per imprenditori: l’Archivio della generatività dell’Istituto Luigi Sturzo e Timu della Fondazione Ahref. Cos’hanno in comune? Sono piattaforme che usano tecnologia web confermando che la relazionalità di internet è tutt’altro che virtuale. E poi, entrambe, lavorano non tanto sulle competenze ma su elementi di significato e di valore. Per questo utilizzano un approccio di ricerca, indagano sulle basi antropologiche dell’imprenditorialità lasciando volutamente sullo sfondo le sue forme istituzionali (cioè l’impresa come forma giuridica, anche questo è ancien regime pure in ambito non profit). Le differenze? La prima è più strutturata e, tutto sommato, muove in direzione top down nello studio dei casi e nell’individuazione degli elementi interpretativi. La seconda è appena partita e procede dal basso nella sua indagine. Due progetti da seguire con interesse.

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