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Impiccarsi in cella, il mistero della “compagna Maria”

La morte della brigatista Diana Blefari Melazzi, all'ergastolo per l'omicidio Biagi

di Franco Bomprezzi

Si può morire impiccandosi in carcere, senza che nessuno lo impedisca? Si può, come dimostra la morte di Diana Blefari Melazzi, brigatista all’ergastolo per l’omicidio Biagi: Ecco come i giornali del lunedì trattano l’argomento.

“Si impicca la br dei misteri” è il titolo secco in apertura del CORRIERE DELLA SERA di oggi. Così il quotidiano riassume la notizia nel catenaccio della cover: «La neobrigatista Diana Blefari Melazzi, 43 anni, si è impiccata ed è morta nel carcere femminile di Rebibbia a Roma. La donna era stata condannata all’ergastolo per l’omicidio del professor Marco Biagi. Nelle nuove br era nota come la compagna Maria ed era la custode dei segreti dell’omicidio del giuslavorista bolognese. Per i suoi avvocati la Blefari «stava male, si tratta di un suicidio annunciato». Polemiche sulla sorveglianza della detenuta. Proteste sul web: frasi di odio contro Biagi». La storia della Blefari è raccontata a pag 3 da Giovanni Bianconi: “Sei anni di silenzi, lettere e liti. I misteri della compagna Maria”. Scrive Bianconi: «L’altro giorno ha ricevuto la notifica della condanna definitiva all’ergastolo per l’omicidio Biagi che — insieme al­l’arresto di Papini, al quale continuava a volere bene — deve aver dato un altro colpo all’equilibrio sempre instabile col quale ha vissuto la galera: insopportabi­le quando le avevano imposto i rigori del «41 bis» (quello per i boss mafiosi, esteso anche ai terroristi) ma pure dopo, quando era approdata a un regime penitenziario che la burocrazia delle pri­gioni definisce aperto». Prosegue Bianconi: «I suoi avvocati non hanno mai smesso di chiedere che venisse curata in altri contesti, ma tutte le perizie d’ufficio hanno stabilito che poteva rimanere in cella: i suoi disturbi mentali non le impedivano di essere processabile e quindi detenuta. Pure nel processo bolognese per l’omicidio Biagi terminato con la condanna a vita. A differenza degli altri «irriducibili», Diana Blefari Melazzi s’era difesa nel di­battimento per quel delitto, anche se sta­va nella stessa loro gabbia e aveva gli stessi atteggiamenti nei confronti dei giudici. Però i suoi compagni di militan­za non apprezzarono la scelta di non re­vocare gli avvocati, e l’hanno considera­ta una «diversa». Anche dal punto di vi­sta della salute, come dimostra il carteg­gio dell’estate 2005 tra lei e Nadia Desdemona Lioce, considerata il capo delle nuove Br. «La tua condotta è stata fin dall’inizio politicamente illegittima e lo sai — scri­veva la Lioce alla Blefari all’indomani della sentenza di primo grado —. E se hai avuto il beneficio della critica (…) è in virtù del senso di responsabilità che abbiamo verso chi è sguarnito di suffi­cienti strumenti politici, e dello stato fisi­camente e mentalmente debilitato e po­co equilibrato in cui ti abbiamo trovato». Un atto d’accusa al quale «l’imputata» rispose a stretto giro: «Il ‘beneficio della critica’ te lo puoi tenere! Sono io che rivendico il mio diritto di veto e di critica». E ancora: «Sono da anni e an­cora oggi una militante rivoluzionaria associata all’O. (l’organizzazione, ndr ), che si è guadagnata un ergastolo non certo per soddisfare propri ‘bisogni’ in­dividuali, ma per dare un contributo ri­voluzionario partecipando all’azione Biagi, agli espropri e al complesso dell’attività dell’O., con un elevato livello di internità e responsabilizzazione». Una rivendicazione quasi orgogliosa, mentre gli avvocati si affannavano a sostenere che il processo per omicidio era soltanto indiziario, e troppo debole per una condanna. Persero allora e hanno continuato a perdere in seguito nelle bat­taglie per sostenere l’infermità mentale della donna, magari solo parziale».

“Brigatista si impicca in carcere” è il titolo di apertura per LA REPUBBLICA. In carcere per l’omicidio di Marco Biagi, Diana Blefari Melazzi (condannata all’ergastolo) si è uccisa sabato sera con le lenzuola. Tre pagine fra cronaca e commenti «Una morte annunciata» secondo il suo legale. «Non si sono colti i segnali d’allarme» dichiara Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio (due anni fa aveva denunciato la condizione psichica della Blefari, «soggetto schizofrenico e inabile psichicamente»). Soffriva di paranoie, di manie di persecuzione («c’è un complotto, siete tutti d’accordo con D’Alema che mi vuole uccidere») e aveva subito oltre 30 perizie psichiatriche. Per il ministro Alfano «la neobrigatista era in una situazione carceraria compatibile con il suo stato psicofisico». Di diverso avviso Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia intervistato appena sotto: “Era malata non poteva stare dentro, inascoltate decine di perizie psichiatriche”. «Se tu cedi un diritto, rinunci a un sistema generale di garanzie. Oggi si insegue solo un’utopia negativa: aumentare i posti letto nelle galere per contenere i reati minori e le più nuove aggravanti, come quello della clandestinità… A giugno prossimo avremo oltre 70mila detenuti. Assurdo, folle, insensato» (propone la depenalizzazione e il ricorso alle misure alternative). In appoggio il ritratto della Blefari a firma di Alberto Custodero: “Dalla famiglia nobile alla lotta armata la vita in fuga della compagna Maria”. Dura e determinata fino al 2005 momento di un crollo che la fa sprofondare in un abisso di manie e di silenzi. Maria, di famiglia nobile, pariolina, aveva scelto i centri sociali. Lavorava (prima di passare alla banda armata) in un’edicola, andava in giro con una motocicletta. Poi appunto il crollo che l’ha fatta scivolare lungo la china già percorsa dalla madre, baronessa e suicida nel 2001. In una terza pagina, Vladimiro Polchi cura il dossier sull’emergenza carcere (che ricomprende il caso di Cucchi, il giovane morto in stato detentivo la settimana scorsa): quest’anno già 61 suicidi in carceri sempre più affollate e con sempre meno personale di sorveglianza e per la rieducazione. Secondo Pietro Gonnella, presidente di Antigone,  «il numero crescente dei suicidi è la cartina di tornasole di un carcere malato, mentre i casi di violenza fanno stabilmente da filo rosso». Il commento, “Il diritto all’umanità”, è di Michela Marzano: si interroga su cosa voglia dire “punire”, sulla necessità di far rispettare la legge e di sanzionare i crimini all’’interno però di un orizzonte di diritto.

Foto in copertina de IL GIORNALE e titolo “La br si uccide ma noi siamo stanchi di capire” apre il fondo di Paolo Granzotto che parte dalle parole del “rifondarolo” Luigi Nieri, assessore regionale del Lazio “La morte della Blefari è frutto della stessa disattenzione riservata a Stefano Cucchi. La giustizia salva i potenti e manda a morte gli altri” e scrive : «La Blefari come Stefano Cucchi che senza aspettare l’esito delle indagini è già dato per vittima di un assassinio di Stato. La morte ci fa tutti uguali. Ciò detto e detto molto sinceramente ci rifiutiamo di accodarci al pedestre cerimoniale demagogico,  ipocrita e provocatorio che prende l’aire in casi come quello di Diana Blefari Melazzi. C’è poco da capire c’è poco da riflettere su un sistema criminogeno e mortifero perché in questa storia di crimonogeno e mortifero c’è solo  il delirio brigatista di Diana Blefari Melazzi. La sua aperta dichiarata volontà di uccidere, di togliere la vita a Marco Biagi. Cosa che ha fatto o ha largamente contribuito a fare». E ancora: «Il sistema carcerare giudiziario non sono responsabili: ne fu responsabile lei Diana Blefari Melazzi quando decise di abbandonare la borghese occupazione di edicolante per farsi combattetene rivoluzionaria» E infine: «E’ una brutta storia questa come lo sono tutte quelle che riguardano un esser umano che si toglie la vita. Specularci sopra con l’invito a capire per poi mettere sotto accusa qualche potente (chissà a chi si riferisce Luigi Nieri?) la rende ancora più brutta. Abietta». Il GIORNALE dedica due pagine alla vicenda e in un’infografica  ricorda l’agguato di Marco Biagi e poi la prima condanna di Cinzia Banelli e le altre condanne che hanno riguardato Nadia Desdemona Lioce, Simone Boccaccini, Marco Mezzasalma, Roberto Moranti. In evidenza anche il caso giudiziario fra il figlio di Lando Conti, sindaco di Firenze ucciso dalle br nel 1986, e il segretario cittadino del Pd di Aiello Calabro tal Franco Iacucci. Il titolo sintetizza la vicenda: «Sindaco foraggia la Balzerani. E una vittima lo denuncia”. Iacucci che ha comprato copie del libro di Barbara Balzerani con i soldi pubblici in occasione della presentazione del volume – definito un libro didattico – in un dibattito pubblico. Conti  chiede alla Corte dei conti se è legittimo impegnare denaro pubblico per l’acquisto di quel testo.

LA STAMPA apre col titolo “Br, la Blefari s’impicca in cella”. Dopo la conferma da parte della Cassazione della condanna all’ergastolo per l’omicidio Biagi la neobrigatista si è impiccata con le lenzuola nella sua cella del carcere di Rebibbia a Roma. Tante le pagine dedicate al caso perchè la donna «era molto debilitata e in stato di depressione». Tanto che si è parlato di «suicidio annunciato». Alfano, ministro della Giustizia rispedisce al mittente le accuse «il regime era compatibile con le sue condizioni». In ogni caso dopo la morte di Cucchi un altro caso che rende il tema carceri un vespaio. Un box a pagina 3 ricorda che «Diana Blefari non è la prima militante di gruppi eversivi di estrema sinistra che si  impicca in carcere». C’è un lungo elenco (Bruno Valli, Lorenzo Bortoli, Francesco Berardi, Dario Bertagna, Mario Scrocca, Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas), tutti morti suicidi in carcere, tutti estremisti di sinistra. Raffaello Masci poi  sottolinea nell’articolo “I giudici speravano nelle sue rivelazioni” che «la brigatista si stava apprestando a collaborare con la giustizia». «Dobbiamo tenere sempre presenti tutti gli attori, tutte le vittime, i diversi pezzi della stessa storia, tenere insieme pietà e rigore». Così finisce l’intervista di Niccolò Zancan a Carole Beebe Tarantelli vedova dell’economista Ezio Tarantelli ucciso nel 1985 dalla colonna romana delle Br. Nell’intervista la vedova Tarantelli si dice preoccupata«temo che Diana Blefari diventi una vittima del sistema carcerario» e basta. «Vorrei che non si dimenticasse il resto della storia, tutta la catena di violenza». In ultima pagina Raphael Zanotti, nel suo “Domande & Risposte“ propone le cifre del mondo  detentivo italiano. Nei primi cinque mesi del 2009 è boom di suicidi, sono 28 contro i 48 totali del 2008. In totale, al 30 settembre scorso, i detenuti in Italia sono 64595, di cui 40596 italiani e 23999 stranieri. Perenne il sovraffollamento a cui si cerca di far fronte con 17129 nuovi posti previsti dal “Piano Carceri”. Più di un carcerato su due non è in carcere per scontare una pena ma perchè imputato. Questi solo alcuni dei numeri che Zanotti cita per regalare una fotografia dell’attuale situazione carceraria italiana.

E inoltre sui giornali di oggi:

CASO CUCCHI
IL GIORNALE  – Ospita una lettera di Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio che scrive: «A me sembra che allo stato degli atti  ci sia un sicuro responsabile diretto e indiretto della morte di Stefano: la droga. Ogni anno muoiono per overdose 500mila persone altrettante perdono la vita per patologie collegate. Per inciso: leggendo  le polemiche odierne sul testo licenziato in Commissione alla camera sul testamento biologico ricordo ai distratti  che si domandano perché i sanitari non hanno intubato il giovane Cucchi che l’opposizione di sinistra sta conducendo una durissima battaglia parlamentare centro la maggioranza di centro destra che vuole stabilire per legge l’obbligo di alimentazione e di idratazione, dando la possibilità ai medici in determinati casi d’intervenire d’autorità anche contro la volontà del paziente di non nutrirsi».

CORRIERE DELLA SERA – «L’accusa della sorella di Stefano Cucchi è diretta: «Le colpe dei vertici del Pertini sono gravissime sotto il profilo umano e delle cure. Come si può morire in ospedale per disidratazione?». Davanti al portone di Regina Coeli, Ilaria dà una scossa al giallo sulla morte del fratello, avvenuta all’alba del 22 ottobre scorso. Non tanto nella direzione del pestaggio, bensì verso quella di un presunto caso di malasanità. Ieri la giovane non è stata fatta entrare nel presidio medico del carcere per visitare la stanza 6, dove Cucchi ha trascorso l’unica notte passata a Regina Coeli prima di essere trasferito in ospedale. Con lei c’era il senatore dell’Idv Stefano Pedica. «Forse hanno qualcosa da nascondere — sospetta il parla­mentare —. Il direttore mi ha spiegato che non potevo essere accompagnato da Ilaria perché non è una mia collaboratrice di­retta. Ma non c’è una legge su questo».

ALDA MERINI
IL GIORNALE – Il ricordo è affidato alla penna di Matteo Sacchi che ripercorre l’ultimo incontro la scorsa estate a Milano nella casa di «Ripa Ticinese. Superata la corte e salite le scale c’era un posto che oscillava fra passato e futuro ignorando il presente»…«Alda avrebbe voluto infrangere un muro che solo lei sembrava vedere, un muro che separava dagli altri» scrive Sacchi che riporta le parole della Merini: «Milano è la mia casa, ma non è più quella di una volta sembra il paese dei balocchi. Orami mi piace solo di notte. Il duomo di notte è bellissimo, il castello Sforzesco di notte è bellissimo. Io non esco ma lo so. Di notte sogno, l’ho già detto?». E infine «Oramai penso spesso alla morte. Mi chiedo come mai la vita si risveglia ogni mattina portandosi dietro una Merini che preferirebbe morire nel sonno. Ma non è la morte, è la vecchiaia il problema. Non il morire, ma il morire sola come un cane». Nelle pagine milanesi tre ricordi fra cui una fra le ultime interviste a Mimmo di Marzio. Estratto. Lei è religiosa? «A modo mio. Diciamo che la mia religiosità è maturata nel calvario del manicomio anche se guardando come va il mondo ne ho nostalgia. In manicomio non ho mai visto certe invidie, certe cattiverie, ma anzi tanta solidarietà. A volte penso che là dentro ero più libera di quanto lo sia adesso». Milano la trova una città poetica? «Figuriamoci. A parte il fatto che di milanesi non c’è ne più, qui ormai è la capitale del consumismo, dell’egoismo dell’ indifferenza. E poi nei bar non si può fumare. e infatti non scrivo più».

LA REPUBBLICA – Doppia pagina nella sezione Cultura per Alda Merini (con richiamo in prima): “Alda Merini, la poetessa folle che cantava l’amore egli esclusi”. Presenza per definizione «eccentrica», scrive Stefano Giovanardi, si è spenta a 78 anni. «Una scrittura di incontrollati rapimenti e di radicali richiami all’ordine, di sublimi elevazioni e di immersioni ctonie, di delirio e di pervicace referenzialità». Giovanardi rievoca gli esordi, gli amori (fra cui Manganelli e Quasimodo, ma poi sposò un panettiere), i 20 anni passati negli ospedali psichiatrici, la produzione letteraria (LA REPUBBLICA riporta anche una poesia inedita, dedicata a Mike Bongiorno). Bella la chiusa, affidata alle parole della stessa Merini: «Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto del manicomio. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita, e la vita è spesso un inferno. Per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara».

INFLUENZA A
LA REPUBBLICA – Due pagine per registrare la crescente preoccupazione del paese. C’è una indagine della procura che ritiene eccessivo il numero di morti a Napoli (nella cui area la paura sta diventando psicosi, in particolare dopo la morte della ragazzina di 11 anni deceduta nel giro di 48 ore). Il dossier spiega che dovrebbe partire la fase due del vaccino: un milione di nuove dosi da oggi alle Regioni. Preoccupazione delle associazioni dei pediatri: i bambini più piccoli vanno vaccinati il prima possibile.

IL GIORNALE – “I medici vittime dei falsi allarmi: temono più il vaccino che il virus” Due pagine dedicate al caso di Emiliana D’Auria, di cui si attende oggi l’autopsia. In un’intervista il virologo Fabrizio Pregliasco consiglia di vaccinare i bambini perché «un caso come quello di Emiliana è una rarità». A chi obietta che nel vaccino c’è del mercurio tranquillizza: «Ce n’è di più in una scatoletta di tonno».

IMMIGRAZIONE
IL SOLE24ORE – «In Italia prende piede la figura del clandestino a tempo indeterminato». Attacca così un articolo che prende spunto dal rapporto “Cittadini senza diritti” curato da uno staff di ricercatori universitari per conto di Naga, ente non profit che si occupa di assistenza sanitaria a immigrati privi di documenti. La ricerca è avvenuta proprio a partire dalle cartelle cliniche dei 47.500 utenti del Naga, che dal 2000 al 2008 hanno chiesto aiuto alla struttura. Il dato eclatante è l’allungamento del periodo di clandestinità, nonostante gli irregolari siano «solidamente inseriti nel sistema produttivo». Nel 2008 un quarto degli immigrati irregolari presi a campione erano in Italia da oltre quattro anni, e il 70,4% aveva una occupazione fissa. Quindi: immigrati lavoratori che non riescono a trovare un canale per regolarizzare la propria posizione. Gli esperti sottolineano «lo spreco» di capitale umano in occupazioni non qualificate: «l’ingegnere ucraino che per cinque anni può solo lavorare in nero come muratore, anche se dovesse ottenere i documenti, difficilmente potrebbe rimettersi a esercitare la propria professione». Altro dato allarmante, la casa: oltre il 7% degli uomini e il 4% delle donne è senza fissa dimora e vive in insediamenti abusivi. “Povertà alimentare per i giovani stranieri” è il titolo di un pezzo di appoggio sulla prima indagine quantitativa e qualitativa sulla povertà alimentare promossa dalla rete del Banco alimentare, con il sostegno della Fondazione sussidiarietà. Anche qui ILSOLE24ORE estrae i dati sugli immigrati. Chi si rivolge alle mense, cioè il “povero alimentare” ha un buon livello di istruzione: per il 70% oltre l’obbligo scolastico e, addirittura, il 6,7% degli immigrati che non riescono a sfamarsi possiede una laurea. L’onere di mandare i soldi a casa incide: meglio risparmiare mangiando qualche volta dai frati e spedire qualche soldo in più alla famiglia.

NAPOLI
CORRIERE DELLA SERA – Secondo il ministro Maroni è «stato un errore rendere pubblico il video shock». Lo dice in un’intervista al CORRIERE. «Io il video l’ho visto in tv. Devo dire che ho un ottimo rapporto personale con il pro­curatore Lepore, che considero un grandissimo magistrato, ma io non condivido quella sua decisione. Sul piano squisitamente tecnico-investigativo, infatti, la diffusione del video non era necessaria: bastava pubblicare il fotogramma che inquadrava quel soggetto perché, alla fine, la diffusione ha aiutato ma solo nel fermo immagine che viene dopo la parte truculenta. Io, dunque, avrei utilizzato il fotogramma… Comunque avrei sfruttato la foto che era nitida: e forse il soggetto si sarebbe potuto catturare men­tre adesso c’è un latitante in più. Sappiamo chi è ma è latitante… Sono immagini scioccanti: hanno dato l’idea di una città, Napoli, ben diversa dalla realtà. Purtroppo c’è anche il crimine ma la città è certamente diversa». 

EUROPA
IL SOLE24ORE – “Con l’addebito diretto via al conto unico Ue”. Da oggi sarà possibile effettuare un bonifico o un pagamento a partire da un unico conto sia che ci si trovi in Italia che in un altro Paese europeo, con la possibilità anche di provvedere autonomamente via internet. Con il debutto del cosiddetto “addebito Sepa” sarà più facile, esemplifica IL SOLE24ORE, pagare il corso di inglese del figlio a Londra o le bollette della casa in Costa Azzurra senza aprire un apposito conto corrente in Francia. Il nuovo servizio di pagamento elettronico paneuropeo è previsto dal Dlgs che ha recepito la diretttiva europea sui servizi di pagamento. Da oggi sono pronte ad offrirlo 450 banche italiane, ossia 23 mila filiali su un totale di circa 34 mila.


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