Economia

Impegno sociale, le imprese italiane hanno investito 635 milioni

Cresce il ruolo della “Esse” in ambito Esg. Lo conferma la quinta edizione della ricerca presentata da Dynamo academy in collaborazione con il laboratorio sostenibilità della Sda bocconi. In calo il volontariato aziendale. Sale invece al 59% la percentuale delle organizzazioni che si dotano di un comitato ad hoc. Emerge molto forte la richiesta di criteri comuni per la rendicontazione

di Nicola Varcasia

Passare dal dire al fare. Mostrando l’azione concreta delle imprese italiane sotto il profilo della sostenibilità sociale e dei principi Esg. Con uno sguardo e un paragone a quanto succede fuori dall’Italia. È questo l’intento con cui Dynamo academy e Sda Bocconi sustainability lab hanno presentato i risultati della ricerca Corporate social investment e Esg – Global impact at scale.

Con numeri molto interessanti sullo stato dell’arte dell’impegno verso la comunità e il territorio. E una “Esse” che così diventa sempre più rivolta verso l’esterno. Senza con ciò trascurare la comunità aziendale. Da questo punto di vista, il 78% delle imprese considerate dal campione preso in esame, indicativo delle medie imprese italiane, considera comunità e territorio come effettivi stakeholder di riferimento e contribuisce con donazioni in denaro, beni e servizi o progetti e partnership che generano valore. Gli investimenti complessivi del campione sono pari a 635 milioni di euro, con valore aggiunto medio distribuito per comunità e territorio per azienda pari a 3,27 milioni, investendo il 2,7% del proprio utile ante imposte. Si tratta, spiega la ricerca, di valore economico direttamente generato e distribuito, e in particolare include contributi ad associazioni benefiche, Ong e istituti di ricerca, fondi a sostegno delle infrastrutture per la comunità, costi diretti dei programmi sociali, inclusi eventi artistici e educativi.

«Nelle imprese del campione che fanno investimenti Esg si afferma sempre più un modello di filantropia attiva che vede nelle organizzazioni sociali partner attivi da coinvolgere e supportare, al fine di co-creare valore e generare un cambiamento duraturo nel modus operandi. Questo riscontro, presente già nelle precedenti edizioni della ricerca che da anni portiamo avanti con Dynamo, centra perfettamente i trend riscontrati nell’attuale edizione. L’obiettivo, più in generale, è di comprendere quali sono le maggiori opportunità per le imprese per creare valore sostenibile sempre più concreto, misurabile e rendicontabile. Ciò in linea con il concetto di transformative sustainability: nella transizione in corso le imprese innovano i propri modelli di business sempre più sostenibili, con un approccio integrato alla strategia, al fine di massimizzare le opportunità che possono creare valore. Siamo sulla strada giusta ma ce ne è tanta da percorrere ancora e velocemente» è il commento di Francesco Perrini, associate dean for sustainability, Dei & Ice e direttore del Sustainability lab di Sda Bocconi school of management.


Giunto alla quinta edizione, lo studio ha allargato il precedente campo di indagine dall’azione puramente filantropica all’agire sostenibile, indagando gli investimenti nelle comunità e l’approccio Esg delle imprese, con particolare rilevanza verso la sostenibilità sociale. L’anno di riferimento è l’ultimo disponibile e riguarda il 2021. Inoltre, lo studio è stato strutturato in modo da permettere un confronto con il Global impact at scale, l’analisi del network Chief executives for corporate purpose, di cui la stessa Dynamo academy è partner, sull’azione delle imprese nei temi Esg e di investimento sociale a livello globale. Il campione utilizzato dalla ricerca include 213 grandi aziende italiane, con fatturati superiore ai 50 milioni di euro e che effettuano la rendicontazione non finanziaria (Dnf) seguendo lo standard di rendicontazione Global geporting initiative (Gri). Appartengono a vari settori economici: servizi finanziari, industria manifatturiera, beni di consumo, energia e forniture, servizi alle imprese, trasporti, media e telecomunicazioni, holding, healthcare, ingegneria e costruzioni.

Oltre al dato sulle donazioni sociali, il principale risultato della ricerca presenta un dato positivo: le imprese agiscono in modo organizzato rispetto alla strategia di sostenibilità: il 59% delle aziende ha istituito un comitato Esg/sostenibilità. Se si analizzano alcuni settori si passa al 71% per healthcare, 69% per trasporti, 68% per beni di consumo e 65% industria manifatturiera. Il 37% delle aziende, inoltre, ha aderito allo United nations global compact (Uncg), che incoraggia le aziende all’adozione di politiche sostenibili e a rendere pubblici i risultati delle azioni intraprese. Il 44% del campione redige, eventualmente rendendoli pubblici, una propria strategia e il proprio piano strategico e di azione in materia di sostenibilità, con percentuali che si alzano nei settori trasporti (69%), beni di consumo (59%), energia (55%). Il 67% delle aziende richiama nella propria strategia gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu.

Per quanto riguarda la “E” di environment, che fino al periodo pre Covid ha avuto la netta preponderanza, il 45% dichiara l’obiettivo di riduzione nelle emissioni di Co2, e il 33% associa questo obiettivo a un anno target. A livello globale, il 75% delle aziende ha fissato obiettivi di riduzione nelle emissioni Co2.

Tornando agli investimenti nella “Esse” della sigla Esg, le erogazioni liberali, con importo totale 103 milioni di euro e valore medio pari a 1,78 milioni di euro, sono rendicontate da 58 aziende sulle 213 del campione. Sono le imprese dei servizi finanziari a investire maggiormente in erogazioni liberali a vantaggio delle comunità e del territorio (2,58 milioni di euro erogazione media) ed energia (1,99 milioni). Le sponsorizzazioni, rendicontate da 29 imprese, hanno importo totale pari a 140 milioni di euro e un valore medio per impresa pari a 4,84 milioni; qui sono le imprese del settore energetico a investire maggiormente, con valore medio pari a 8,28 milioni di euro. L’ammontare in erogazioni liberali e sponsorizzazioni registra un aumento, rispettivamente del 1,3% e del 14,1%, da parte delle aziende che le hanno rendicontate, seppure il totale degli investimenti in valore aggiunto dichiarato distribuito a comunità e territorio nel 2021 sia diminuito rispetto al 2020.

Sono 61 le aziende (29%) che hanno costituito una Fondazione, con funzione erogativa (26%), operativa (30%) e mista (44%), e il valore erogato, considerando le aziende che hanno fatto disclosure, è complessivamente 78,88 milioni di euro. Rispetto al volontariato, solo il 22% del campione lo rendiconta, dichiarando di realizzare programmi specifici. Rispetto al campione internazionale, il 57% delle aziende sposa programmi di volontariato aziendale retribuiti, ma registra una diminuzione del 32% nel volontariato aziendale. Rispetto al matching gift, il meccanismo con cui l’azienda raddoppia l’eventuale donazione effettuata da un suo dipendente all’interno di un panel di associazioni condiviso, in Italia sono il 4% lo adotta, a fronte del 60% del campione internazionale, a dimostrare una possibilità di sviluppo nel nostro Paese. A livello globale, il 31% delle aziende dichiara comunque un crollo nell’adesione dei dipendenti ai programmi, dal 2019 al 2021.

Tra le evidenze dalla ricerca internazionale, si rileva che gli investimenti nelle comunità vedono un incremento nel valore mediano del 13%, ma le donazioni come percentuale degli utili pre tasse diminuiscono del 23%; diminuiscono quindi, dal 2019 al 2021, degli aspetti puramente filantropici, ma si registra un aumento della S “interna”: il 67% delle imprese ha incrementato gli investimenti per il benessere dei dipendenti.

«Grazie a Sda bocconi sustainability lab per essere al nostro fianco nella ricerca sugli investimenti Esg delle imprese italiane, che consente una fotografia del nostro Paese e un confronto con l’indagine internazionale Cecp. Il benchmark dà indicazioni alle imprese italiane per incrementare l’impatto nelle comunità. Una indicazione riguarda la necessità del reporting della S, sia per trovare metriche condivise sia per valorizzare le azioni messe in campo. L’altro aspetto è l’opportunità di lavorare su diversity, equity e inclusion, con azioni concrete nelle aziende» è il commento di Serena Porcari, presidente e ceo di Dynamo academy.

Analizzando più approfonditamente i temi di diversità, equità e inclusione, non indagati in modo diretto nella rilevazione italiana, il campione globale registra infatti un incremento di risorse dedicate da parte del 67% delle imprese, ma l’inclusione effettiva di donne, minoranze e persone con disabilità in posizioni di leadership e nella forza lavoro continua a essere in ritardo. Un aspetto interessante riguarda il reporting: se il 98% del campione globale utilizza standard e metriche Esg, il 54% considera sfidante la misurazione della S, a fronte del 10% rispetto alla G, al 6% rispetto alla E e al 33% rispetto alle 3 tematiche congiuntamente. Ma questa è una questione che chiama in causa direttamente anche la nuova direttiva europea che entrerà in vigore nel 2025 e sulla quale è opportuno che non solo le aziende e le organizzazioni, ma anche le istituzioni prendano in considerazione nuove azioni per far trovare pronto il sistema delle imprese italiane di fronte a questa sfida.

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