Economia
Impatto sociale, il non profit accetti la sfida della misurazione
Si è chiusa ieri l’edizione 2016 del workshop sull’impresa sociale targato Iris Network. La sintesi dell’intervento conclusivo di Mario Calderini: “Se il mondo dell’imprenditoria sociale italiana non farà sentire la sua voce, l’impostazione anglosassone avrà vita facile e questo non sarà senza conseguenze”
di Redazione
Si è chiusa ieri a Riva del Garda l’edizione 2016 del workshop sull’impresa sociale organizzato da Iris Network. Una due giorni che ha registrato la presenza di 450 imprenditori sociali che hanno partecipato ai 10 laboratori e ai tre momenti di plenaria sotto il titolo EQUITA' E SOSTENIBILITA' IN UNO SCENARIO DISEGUALE . Il tema del rapporto fra finanza ed imprenditorialità sociale (anche alla luce del decreto attuativo della delega sul Terzo settore che il Governo dovrebbe licenziare nelle prossime settimane) è stato certamente il filo rosso che ha animato direttamente o indirettamente i lavori. Sintomatico, in questo senso, che la sessione finale sia stata aperta proprio da un intervento del professor Mario Calderini, per la prima volta qui a Riva del Garda, che al Politecnico di Milano, guida il centro di ricerca Tyresia. La conduzione del dialogo con Calderini è stata affidata al coordinatore di Social Value Italia, Davide Dal Maso, sotto il titolo “L’impatto sociale per le politiche pay for result”.
Calderini ha esordito ricordando come il tema della misurazione dell’impatto sociale “sia stato lanciato da Cameron, quando era primo ministro a Londra e sia nato sotto la spinta della grande finanza anglossassone”, ma proprio per questa ragione ha invitato il non profit italiano a non fuggire dal dibattito nazionale e internazionale sul tema, “perché se i nostri imprenditori sociali non faranno sentite la loro voce lasceranno un’autostrada all’affermazione dei paradigmi ideati Oltremanica”. Calderini, che è stato membro della task force italiana sui Social Impact Investment nata in seno a G7 proprio su iniziativa di Londra, ha ricordato come proprio in quella sede “il confronto più vivace in tema di impatto vide confrontarsi la posizione italiana e quella del Regno Unito”.
Secondo il professore milanese, sono tre le assi su cui si giocherà la partita della misurazione dell’impatto sociale. Tema su cui stanno lavorando, ancora sotto traccia, ma con decisione alcuni dei centri studi di grandi istituzioni finanziarie operative in Italia (c’è chi stima che l’iniezione di investimenti provenienti dalla finanza sul mercato italiano dell’impact posso essere valutato fra i 2 e i 3 miliardi di euro).
Credo che l'elaborazione dei modelli dei misuratori di impatto sociale spetti alle governance intermedie del mondo dell'impresa sociale e non possano essere imposti dal pubblico per via legislativa, nè essere lasciati nella disponibilità di ogni singolo soggetto
Mario Calderini
Tre assi dicevamo. Il primo riguarda la tecnicalità della misurazione. E qui gli estremi sono: da un parte standard aperti più legati al singolo intervento e al processo e dall’altra standard chiusi, univoci e validi per tutti i settori di interesse dell’impresa sociale. C’è poi la questione di quanto la misurazione dell’impatto incida sulla governante di impresa (maggiore è l’affidabilità dei misuratori sociali, maggiore sarà il peso che questi avranno nelle scelte strategiche rispetto ai misuratori prettamente finanziari) e infine il tema del dati (omogeneità e messa a disposizione) su cui il Terzo settore sconta ancora un certo ritardo.
“Dal mio punto di vista” ha detto Calderini, “la strada da percorrere è quella di una mediazione fra indicatori troppo larghi e quindi di fatto poco efficienti e la proposta anglosassone di indicatori chiusi, parlerei di indicatori settoriali a banda larga”. Ovvero di un ventaglio di misuratori largo tanto quanto sono le aree di intervento dell’imprenditoria a impatto che oltre ai risultati economici e sociali sappiano valutare i processi, “perché è difficile immaginare che uno stesso strumento possa essere in grado di valutare il lavoro di un impresa sociale attiva nel campo della recidiva post carceraria e di un'altra impegnata nella fornitura di servizio per la prima infanzia”.
Ma questi indicatori dovrebbe essere introdotti ex lege oppure dovrebbero essere lasciati alla libera scelta di ogni impresa sociale che potrebbe optare di avvalersene o meno? Calderini: “Ritengo che anche su questo fronte sia necessaria una mediazione. Un punto di riferimento sono i protocolli in ambito di standard tecnologici, che prevedono che, per fare un esempio, gli operatori telefonici per stabilire come due telefonini di produzione diversa si possano parlare, si chiudono per due giorni in una stanza di albergo e concordino insieme, senza l’intervento statale, quale strada prendere. Analogamente credo che sia il livello di governante intermedio del non profit a partire dagli organi di rappresentanza, che si debba fare carico di elaborare standard condivisi”.
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