Cultura

Impariamo la laicità. Quella era una classe ghetto

"La scuola separata non aiuta il buon cittadino di fede islamica, che ha il dovere di conoscere la cultura del Paese dove vive". Intervista a Khalid Chaouki.

di Selena Delfino

Khalid Chaouki, 21 anni, presidente dell?associazione Giovani musulmani d?Italia è forse il più giovane presidente nel mondo dell?associazionismo del nostro Paese. Il suo è un impegno a trecentosessanta gradi per gettare le basi di un dialogo costruttivo fra cultura islamica e cristiana. Per questo è anche membro del Comitato scientifico degli incontri cristiano-musulmani, organizzati dalle Acli di Modena. Il punto di forza della sua associazione? I giovani, considerati una sorta di ?ponti-mediatori? fra le due culture.
Per questo, la ?questione Agnesi? l?ha visto particolarmente coinvolto: «Come musulmani italiani, noi puntiamo a essere prima di tutto cittadini, e la classe-ghetto di quel liceo non ci avrebbe aiutato nell?intento. La questione religiosa è importante, ma è un fattore privato. La formazione si può ottenere solo in una scuola laica, pubblica e pluralista».
Vita: Non si può però negare che il problema legato a una (piccola) parte della comunità islamica ci sia?
Khalid Chaouki: Sì, ma quella dell?Agnesi era la risposta sbagliata a un problema vero. Fra l?altro, esperimenti simili in altri Paesi europei sono stati fallimentari: il risultato è stato solo quello di avere ragazzi senza un loro spazio nella società. Persone con gravi problemi di integrazione.
Vita: Qual è allora la risposta possibile?
Chaouki: Il dialogo, la mediazione e l?aprirsi a una conoscenza reciproca. Sarebbe il caso di ridiscutere l?ora di religione. Oggi la società italiana non è più solo cristiana. Su questo tema c?è già un dialogo costruttivo con i giovani ebrei e i cattolici delle Acli, con cui abbiamo trovato un?ampia convergenza per permettere un insegnamento pluralista della religione. La scuola separata non aiuta il buon cittadino di fede islamica che deve conoscere appieno la cultura di questo paese. La nostra fede ci spinge a vedere la diversità come opportunità, a conoscere gli altri. Non a separarci.
Vita: Esiste una possibilità di dialogo anche con quella parte della comunità islamica più chiusa e integralista?
Chaouki: La maggioranza dei musulmani è dialogante, e noi giovani ci proponiamo come ponte tra la prima generazione e la seconda. Il problema con quella piccola parte che non accetta la mediazione non si risolve con le classi speciali.
Vita: E come si risolve?
Chaouki: Creando un modello positivo di incontro con la società non musulmana. Devono essere messi davanti ad una realtà che impone un modello diverso.
Vita: Ma grazie a questa soluzione i ragazzi musulmani avrebbero potuto studiare con docenti e programmi italiani?
Chaouki: Sarebbe stata comunque una situazione drammatica e senza senso. Un modello che non sta in piedi fin dalla base. E se qualcuno, il più integralista fra gli integralisti, domani chiedesse di istituire classi separate per i due sessi? Come andremmo avanti? Non è una via d?uscita.
Vita: Quindi?
Chaouki: Quindi nel caso dell?Agnesi sarebbe toccato ai docenti della classe farsi mediatori. Solo così avrebbero potuto sostenere veramente questi ragazzi.
Vita: Qualcuno ha anche avanzato la proposta di sovvenzionare le scuole coraniche. Cosa ne pensa?
Chaouki: Non sono d?accordo. La vera forza è favorire l?insegnamento pubblico.
Vita: Ma qual è allora la soluzione, oggi, per una famiglia che non vuole mandare i propri figli alla scuola pubblica?
Chaouki: Chi non vuole mandare i figli a scuola si deve assumere la responsabilità di questa decisione. Ma questo problema non può andare a danno di un modello sociale e di una generazione che rischia l?emarginazione. Mi dispiace per quelle famiglie. Io spero di incontrare i loro figli, ma non credo che me lo permetteranno.

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