Cultura
Imparare lislam. Non per paura ma per passione
Dopo gli Stati Uniti anche in Italia è boom di iscrizioni alle facoltà in cui si insegna lingua, cultura o letteratura araba.
«Islam, o Islaam, significa sentirsi sani e salvi nelle mani di Dio. Contiene in sé la radice ?sln?, che è una radice di pace: in arabo, pace, si dice saalam». Milano, università Bicocca, classe di lingua e letteratura araba. In cattedra c?è Roberto Bellani, e la sua è più che una lezione di grammatica: «Inserire le parole nel loro contesto, serve a cancellare i pregiudizi. E la paura». Quella immediata, degli attentati. E quella più profonda, viscerale, e più difficile da confessare, del diverso che fa vacillare tutte le tue certezze: dal modo di vestire a quello di mangiare, dal modo di educare i figli a quello di pregare.
Lo dicono i numeri, che studiare l?Islam esorcizza la paura. Quelli dei 500 studenti statunitensi che l?anno scorso hanno frequentato i corsi dell?Arabic and American University de il Cairo, due volte le iscrizioni pre 11 settembre. Quelli dei 10.600 americani che nel 2002 hanno studiato il Corano negli Usa, contro i 5.500 del 1998. E quelli del boom italiano: «In Bicocca, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, le matricole di lingua araba sono cresciute del 12%», spiega Bellani. Per non parlare degli iscritti all?Orientale di Napoli: quest?anno, 150 ragazzi hanno iniziato a frequentare i corsi di lingua araba, 150 quelli di letteratura, 70 quelli di Scienze politiche e 60 la laurea completa di Studi islamici.
«Approfondire queste materie fornisce strumenti concreti per costruire ponti, invece che muri o ghetti, con una parte del mondo che si credeva lontana e che invece è sotto casa», svela Francesca Corrao, docente di lingua e letteratura araba all?Orientale. «Tra i nuovi iscritti, ci sono elementi dell?Esercito e della polizia, ma, soprattutto, ragazzi con una forte vocazione solidaristica: pensano a una carriera umanitaria, vogliono lavorare con le ong impegnate a costruire la pace sul campo. Poi ci sono gli aspiranti diplomatici e giornalisti con cui, ogni settimana, guardiamo Al Jazira e leggiamo la stampa araba».
Le chance occupazionali per i neolaureati esperti d?Islam? Paolo Branca, che insegna lingua araba alla Cattolica di Milano, è fiducioso: «Vent?anni fa l?arabo era considerato quasi una lingua morta, ora che l?Islam è d?attualità, le cose sono cambiate. Ma attenzione, parlare l?arabo, o il persiano, o il turco, da solo non basta. La padronanza della lingua va affiancata a una formazione da giornalista, da giurista o da sociologo. Il vero sbocco occupazionale sarà nel campo della mediazione culturale, nel settore pubblico, privato o delle ong. E non mancano le richieste di esperti di lingua e cultura islamica interessati a occuparsi di sicurezza».
Di sicurezza, intesa come gestione della crisi e della lotta alla Jihad, alla Cattolica si occupa Marco Lombardi, che però invita «a non cadere nell?inghippo di studiare l?Islam solo perché si percepisce come un nemico: ha una grande tradizione universitaria che ha generato famosi matematici e cartografi, e importanti atenei, in Libano, Giordania, Marocco e Tunisia, presso cui è possibile recarsi a studiare grazie a programmi di scambio finanziati dall?Unione europea».
Le materie su cui l?Islam ha qualcosa da insegnare? Luciano Musselli, coordinatore del corso in Diritto islamico e istituzioni occidentali a Pavia, indica il campo della solidarietà: «Nei Paesi islamici l?usura è vietata, e questo ha generato un sistema di istituti di credito cooperativo, simili alla nostra Banca etica, incaricati di garantire l?accesso al credito. La macchina della solidarietà islamica, fondata su una società che non punta al profitto, è una materia che vale la pena di approfondire per chiunque si interessi di sociale in Occidente».
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.