Cultura

Immigrazione : una ricerca sulla famiglia e sulla qualità della vita

Per gli immigrati la vita gira tutta intorno alla famiglia, ce lo dice una ricerca della Fondazione "Silvano Andolfi" commissionata dal Das e dal Cnel

di Barbara Fabiani

Una ricerca condotta su 230 coppie di immigrati con figli e provenienti da 45 paesi indaga sui valori della famiglia immigrata e sulla qualità di vita. L’indagine è stata condotta dalla Fondazione “Silvano Andolfi” su incarico degli uffici per le politiche per l’integrazione degli immigrati del Dipartimento affari sociali e del Cnel. Ne emerge una tipo di famiglia molto tradizionale, unita dalle difficoltà e proiettata sul bene dei figli. Fatto estremamente evidente che si ricava dalle risposte è il posto che l’istituzione familiare ha tra i valori degli immigrati intervistati. La famiglia di origine e quella che ci si crea in Italia sono i punti di riferimento focali della vita degli immigrati; in particolare la prima svolge un ruolo determinante nella realizzazione del progetto migratorio. Il 56% degli intervistati ha dichiarato che la famiglia di origine era d’accordo e l’incoraggiava a partire per l’estero e il 14 % che i familiari erano contenti della sua decisione seppur tristi, mentre il 26% dice che i genitori non condividevano l’idea che il figlio/a emigrasse. “Esiste un “mandato familiare” da parte dei nuclei di origine – spiega Maurizio Andolfi presidente della fondazione e direttore della ricerca – l’emigrato è una fonte di sostentamento per chi rimane in patria e bisogna sottolineare che la responsabilità di inviare le rimesse economiche non è sentito come un peso o un fatto negativo, tutt’altro” . “La famiglia è sempre presente nella vita degli immigrati, fisicamente o psicologicamente. Anche la lontananza, molto sentita, è una dimensione degli affetti. Negare questo fatto corrisponde a compiere un grave atto di intolleranza civile” continua Andolfi. Infatti , ben l’89% degli intervistati indica la mancanza dei genitori e dei fratelli come la carenza maggiore, in particolare della madre (26%).
Molto interessante il dato in cui si dimostra l’efficacia per l’integrazione in Italia del sostegno psicologico della famiglia di origine. Il 70% di quelli che si dicono “realizzati” e il 77% di chi sente di “avere un futuro” in Italia dichiarano che la famiglia ha ancora un peso importante sulla loro vita malgrado la lontananza, al contrario chi ma perso i contatti ha molta più difficoltà di inserimento.
Il 64% delle coppie si era sposata in patria e il 50% dichiara che l’esperienza dell’emigrazione li ha uniti di più “Non si può negare la possibile incidenza di riposte di convenienza su questi argomenti così intimi, come anche abbiamo rivelato nelle mogli di nuclei musulmani un maggior conformismo delle risposte allineate su quelle del marito – avvisa Andolfi – Ma questo non ci deve far saltare a delle conclusioni errate. La coppia immigrata sembra più una “diade genitoriale” che una copia in senso occidentale moderno. Il pilastro dell’unione è la famiglia stessa e il futuro dei figli e le difficoltà di relazione vengono probabilmente sentite e affrontate in modo diverso che per le coppie italiane. Potremmo dire , in definitiva, che la famiglia immigrata di oggi somiglia alle nostre famiglie del dopoguerra : tanto lavoro , uniti dalle difficoltà e molti sacrifici per il futuro dei figli”. Completa questa immagine la grande rilevanza data ai valori religiosi ( il 73% da ai valori religiosi un posto importante nella propria vita e il 79% dichiara di non aver problemi a praticare il proprio credo).
Per quanto riguardala qualità della vita il 57% degli intervistati è soddisfatto della casa che ha (il 24% no, perché la ritiene troppo piccola) anche se il 33% la valuta peggiore di quella che aveva in patria, mentre il 28% la giudica migliore. La maggioranza dichiara che la sua vita è migliorata con l’arrivo in Italia, percentuale e che passa da 43% al 34,7% man mano che aumentano gli anni di permanenza da 3 a 15, questo malgrado il 44% dica che oggi ha superato le difficoltà che incontrato al suo arrivo (lingua, lavoro, abitazione). Potrebbe aver un peso su questo dato il fatto che il 36% riferisce di frasi offensive e di atteggiamenti intolleranti “E’ interessante il fatto che questo disagio è espresso soprattutto da chi vive da più anni in Italia – dice Andolfi- probabilmente nei primi tempi le barriere linguistiche e l’impegno a “sopravvivere” li rendeva meno sensibili a questi fenomeni, al contrario dopo qualche anno la percezione è molto più attenta anche perché aumentano le attese per una maggiore di partecipazione alla vita civile”.
Complessivamente il 52% dice di voler tornare nel suo paese ( ma dice di no il 60% degli uomini contro il 39% delle donne) ma l’ancoraggio maggiore in Italia è rappresentato dai figli che nel 44% dei casi sono nati qui.
Tra i punti dolenti della qualità della vita è la difficoltà di accesso ai servizi sanitari. Anche se l’88% delle famiglie ha un medico di base non sa comunque come accedere ai servizi specialistici e in genere fa un certo abuso del servizio di pronto soccorso, dove, come nelle strutture ospedaliere in genere, si vive una situazione di forte disagio per la mancanza di mediatori o comunque per la mancanza di un rapporto medico paziente più interculturale.
Il testo completo della ricerca può essere richiesto all’ufficio per politiche per l’integrazione degli immigrati del Das : 0648161567

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