Famiglia

Immigrazione: un dossier sui diritti negati

Il documento redatto da alcune associazioni di volontari. Primo nodo: il diritto d'asilo

di Redazione

Mancanza di informazioni sui propri diritti, notti all’aperto, file lunghissime davanti alla Questura, attesa di anni prima di essere convocati dalla Commissione che decide sulla loro domanda di asilo. E’ ”una lunga sequela di storie di diritti negati”, quella dei richiedenti asilo in Italia secondo quanto denuncia un monitoriaggio effettuato dalle associazioni di volontari che lavorano nell’assistenza agli immigrati nel nostro Paese. Secondo le associazioni Centro Astalli, Casa dei Diritti Sociali-Focus, Ronda della Solidarieta’, Medici contro la tortura, Progetto Casa Verde, la situazione dei richiedenti asilo in Italia, gia’ compromessa da diversi anni per la mancanza di una legge organica in materia, si e’ aggravata dopo l’approvazione della cosiddetta legge Bossi-Fini. L’attivita’ di monitoraggio, durata 12 mesi a partire da giugno 2002, ha consentito di intervistare 250 persone, di cui oltre l’81% sono richiedenti asilo, poco meno del 15% ha gia’ ottenuto lo status di rifugiato, mentre il rimanente 4% circa e’ in possesso di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. I primi giorni dall’arrivo in Italia rappresentano un forte momento di difficolta’, secondo l’indagine. La media delle notti passate all’aperto per il totale degli intervistati (sia uomini che donne) e’ pari a 6. Molto difficile, per i richiedenti asilo, risulta pure accedere alle informazioni sulle forme di assistenza previste e sulla corretta procedura per la richiesta d’asilo. Spesso le ricevono dalla polizia, anche se frettolosamente e non sempre in presenza di interpreti e mediatori, da connazionali o altri stranieri. Solo un percentuale ridotta (circa il 10%) dichiara di aver ricevuto, nel primo periodo dall’arrivo in Italia, un corretto orientamento da parte di organismi di volontariato e del privato sociale. Eppure accedere a tali informazioni e’ vitale: sia per usufruire delle gia’ esigue forme di assistenza previste, sia per affrontare l’audizione decisiva davanti alla Commissione Centrale necessariamente preparati. I tempi per la presentazione della richiesta d’asilo in Questura (nel luogo di arrivo o a Roma) variano complessivamente da 1 a 10 giorni nel 59,5% dei casi, fino ad un mese per il 19,8% dei casi e a tre mesi o piu’ per il 15,2%. Presso alcune Questure, come per esempio quella di Roma, e’ necessario recarsi piu’ volte (due o piu’) sia per la presentazione della richiesta, sia per assolvere gli obblighi previsti nelle varie fasi della procedura. L’attesa fuori dagli uffici supera spesso le 5 ore. In alcuni casi, la fila davanti la Questura inizia la notte precedente, perche’ l’accesso agli uffici e’ organizzato secondo un sistema di numerazione ad esaurimento. Chi arriva ”tardi” e’ costretto ad una nuova attesa il giorno successivo. Al momento della rilevazione, il 55,7% degli intervistati, presenti in Italia da almeno 2 mesi, e’ ospitato presso un centro di accoglienza a Roma, il 22,6% presso privati (affittuari, ospitalita’ di amici, connazionali…) e il 17,6% e’ privo di alloggio (che quasi sempre significa dormire all’aperto). Il problema dell’alloggio resta uno dei nodi insoluti dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati ed i rischi per loro di restare senza una vera dimora sono, nei primi anni della loro permanenza in Italia, piuttosto alti. Per quanto riguarda l’accesso ai servizi sanitari, il 77,1% degli intervistati ha dichiarato di aver fatto una visita medica in Italia: piu’ del 75% di questi ha usufruito dei servizi di un’associazione di volontariato, all’interno del centro di accoglienza o presso un ambulatorio, mentre il 17% circa si e’ recato presso un medico di base o il pronto soccorso di un ospedale. Il richiedente asilo che arriva in Italia puo’ aver subito violenze e torture, puo’ essere ammalato e debilitato per il viaggio, puo’ egli stesso essere sopravvissuto ad un naufragio, puo’ aver trascorso del tempo in un campo profughi, in un carcere, nascosto in una foresta, aver perduto i suoi cari. Necessita dunque di una particolare assistenza medica e psicologica, sia all’arrivo che nel tempo. Di tutto questo, al momento, si fanno carico, quasi esclusivamente le Associazioni di volontariato. Piu’ della meta’ degli intervistati (61,1%) e’ ancora in attesa dell’intervista presso la Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, mentre il 25,2% ha gia’ sostenuto l’intervista. Di questi, solo il 40 % e’ a conoscenza dell’esito della stessa. Il tempio medio di attesa dell’intervista e’ di 10 mesi dalla data della richiesta (con punte anche di 18 mesi). Ad esso va aggiunto il tempo necessario per essere informati sulla decisione della Commissione Centrale che, in assenza di sospensioni per ulteriori indagini e verifiche nel paese di origine del richiedente asilo, e’ mediamente due mesi. Il sentimento piu’ diffuso riportato dal richiedente asilo al termine dell’intervista e’ di forte delusione per la sua brevita’ e di scarsa comprensione di quanto accaduto. Alla domanda ”come provvedi alle tue spese personali”, il 36,6% degli intervistati dichiara di ricevere aiuti da familiari o Associazioni , il 39,7% preferisce non rispondere, il 22,1% dichiara di lavorare in nero. Senza un lavoro in nero o nonostante questo – denunciano le associazioni – il richiedente asilo, reso indigente, entra in un circuito di poverta’ ed emarginazione sociale che trasforma radicalmente il suo status e la percezione che ha di se’. Da persona in cerca di protezione per un fondato timore di persecuzione, a ospite temporaneo di mense e dormitori di emergenza, a senza fissa dimora, oppure lavavetri, raccoglitore di pomodori, venditore di giornali ecc… Cio’ costituisce l’ennesima, dolorosa negazione dei suoi umani fondamentali, questa volta ad opera del Paese in cui, con fiducia e speranza, ha chiesto asilo.


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