Politica

Immigrazione: i flop di Meloni, i lutti nel mare

Gli sbarchi aumentano, e i naufragi pure. In Europa i governi di ultradestra, alleati di Meloni, Polonia e Ungheria, dicono no all’accordo sui ricollocamenti dei migranti. E allora si continua a tentare di voler bloccare le partenze e si prova ad andare verso l’intesa con la Tunisia, primo Paese per numero di partenze, ma un vero patto ancora non è stato firmato. Una cosa è certa: nell’immobilismo generale di Italia e Unione europea le persone continuano a morire in mare

di Anna Spena

Partiamo dai numeri: 64.930 è il dato degli sbarchi sulle coste italiane dal primo gennaio 2023 al 30 giugno 2023. Se consideriamo lo stesso periodo degli ultimi due anni la cifra si ferma a 27.633 nel 2022 e a 20.532 nel 2021. In tre anni gli sbarchi sono più che triplicati. L’immigrazione è un tema serio che nelle mani del governo di destra, guidato dalla premier Meloni, è stato prima strumento di propaganda politica per aumentare i consensi e poi è diventato lo specchietto delle allodole, discorso di distrazione da altri temi a cui pure il Governo non sa dare risposta: dalla disoccupazione all’utilizzo dei fondi del piano di ripresa e resilienza. In entrambi i casi, che l’immigrazione sia usata come strumento di propaganda o di distrazione, dovremmo riportare al centro un concetto elementare: quei numeri non sono numeri, quei numeri raccontano le persone. Solo nel primo trimestre dell’anno sono morte 500 persone lungo la rotta del Mediterraneo Centrale, impossibile avere contezza delle vittime reali: sono centinaia i corpi che il mare non ha restituito. Diversi i naufragi degli ultimi mesi, due tra tutti: quello di Cutro e quello nel Peloponneso, drammatici e con troppe ombre sui soccorsi.

Cosa ha fatto il Governo Meloni negli ultimi mesi?

Ha approvato un codice di condotta per le organizzazioni non governative impegnate nelle operazioni di salvataggio nel Mar Mediterraneo. Un codice anti-ong che non fa altro che limitare e ostacolare la possibilità dei naufraghi di essere salvati. Si va dall’imposizione alle navi umanitarie di portare immediatamente a terra i naufraghi, riducendo di fatto le possibilità di fare ulteriori salvataggi dopo il primo soccorso, all’impossibilità di intervenire tempestivamente in caso di segnalazioni di altre imbarcazioni in pericolo fino all’indicazione di fare richiesta d’asilo nel Paese di cui la nave batte bandiera fino all’assegnazione di porti di sbarco sempre più lontani. Poi ha approvato il Decreto Cutro con le nuove norme in materia di immigrazione e asilo, di fatto si è cancellata la possibilità di ottenere la protezione speciale per chi non può richiedere quella internazionale.

Cosa ha chiesto all’Europa il Governo italiano?

Collaborazione. Perché se è vero che un’emergenza migranti in Italia non esiste, ad essere emergenziale è il nostro approccio al fenomeno e alla gestione del sistema di accoglienza, è altrettanto vero che in fatto di politiche migratorie l'Unione europea continua ad essere latitante. Una svolta sembrava essere arrivata lo scorso otto giugno, quando nel corso del Consiglio Affari Interni è stato trovato l'accordo tra i 27 Paesi per approvare i due pacchetti legislativi sulle procedure di frontiera e sulla gestione dell’asilo. Contrari Ungheria e Polonia. Slovacchia, Lituania, Malta e Bulgaria si erano astenuti. Il resto dei Paesi, compresa l’Italia, si era espressa in maniera favorevole. Tra gli obiettivi dell'accordo c'era, tra l'altro, l'intenzione di fissare una procedura comune in tutta l’Unione Europea per concedere o revocare la protezione internazionale e per stabilire rapidamente alle frontiere chi può avere l'asilo e chi no e fissare un numero minimo annuale di ricollocamenti negli Stati membri meno esposti agli arrivi. Questo numero era stato fissato a 30mila, mentre il numero minimo annuale di contributi finanziari era stato fissato a 20mila euro per ricollocamento. Nel patto erano previsti anche accordi e infrastrutture per la gestione dei migranti e dei richiedenti asilo nei Paesi di origine o transito, per lo più in Africa e Asia, anziché sul territorio dei Paesi europei. Un accordo che comunque, come aveva spiegato in questo pezzo Filippo Miraglia, portavoce del Tavolo Immigrazione e Asilo avrebbe agevolato i trafficanti di esseri umani anziché fermare l’immigrazione irregolare.

Il Consiglio europeo, un buco nell’acqua

Il Consiglio europeo, che si è tenuto il 29 e 30 giugno, si è chiuso senza conclusioni sulla questione immigrazione. A mettere il veto sono stati Polonia ed Ungheria. La premier Giorgia Meloni si è detta comunque soddisfatta perché «la svolta totale è sulla dimensione esterna, non interna, del problema migratorio. Quello che è accaduto con Polonia e Ungheria già lo sapevamo. Io comprendo la loro posizione, in questo caso è diversa dalla nostra, perché tutti difendiamo i nostri interessi nazionali e abbiamo esigenze diverse». Meloni, pur di non andare contro i suoi alleati di ultradestra ha detto che "va bene così" e devia dunque il discorso sulla "dimensione etserna". «Quello su cui stiamo lavorando noi, la dimensione esterna, coinvolge tutti i Paesi del Consiglio», ha dichairato la premier. «Su questo c’è un consenso unanime. Il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia può diventare un modello per il Nord Africa». E infatti, nelle conclusione pubblicate sul sito del consiglio europeo si legge: «Il Consiglio europeo ha tenuto una discussione strategica sulle relazioni dell'Unione europea con i partner del vicinato meridionale. In tale contesto, il Consiglio europeo accoglie con favore il lavoro svolto su un pacchetto di partenariato globale reciprocamente vantaggioso con la Tunisia, basato sui pilastri dello sviluppo economico, degli investimenti e del commercio, della transizione energetica verde, della migrazione e dei contatti interpersonali, e sostiene la ripresa del dialogo politico nel contesto dell'accordo di associazione Ue-Tunisia. Sottolinea l'importanza di rafforzare e sviluppare partenariati strategici simili tra l'Unione europea e i partner della regione». Ma con la Tunisia, ad oggi, nessun accordo è stato firmato. L’accordo sbloccherebbe una prima tranche di aiuti per 150 milioni di euro al Paese , con la prospettiva di erogarne altri 900 milioni in caso di intesa con il Fondo monetario internazionale. Servirà davvero? La Tunisia è un Paese da aiutare, non da comprare.

E il Piano Mattei per l’Africa?

Il piano prevede di arrivare entro due anni al totale sganciamento dal gas russo, per poi crescere progressivamente come hub di distribuzione di energia dal Nord Africa al cuore dell'Unione europea. «La presidente Meloni ha interiorizzato il principio base della cooperazione italiana allo sviluppo, espresso nel primo articolo della nuova legge 125 del 2014: “promuovere relazioni solidali e paritarie tra i popoli fondate sui principi di interdipendenza e partenariato”», scrive Nino Sergi, presidente emerito di Intersos e policy advisor Link2007. «E ha fatto sua la priorità del rapporto con l’Africa che è stata sempre presente nelle programmazioni della cooperazione nei vari decenni, fino a coprire il 60% delle iniziative bilaterali e multilaterali italiane. Ben venga quindi il Piano Mattei per l’Africa, di cui si parla da mesi senza conoscerne alcun dettaglio pur intuendone il condivisibile significato politico e strategico. I recenti cambiamenti del processo di globalizzazione evidenziano che esiste un forte interesse italiano ed europeo nella collaborazione con i paesi africani, in particolare nella differenziazione delle fonti di approvvigionamento energetico – dagli idrocarburi al gas, alle rinnovabili – nel processo di transizione energetica, che vede nella cooperazione con l’Africa un reciproco vantaggio, italiano-europeo e africano». Ben venga quindi un piano, ma il dubbio sorge spontaneo: sarà stato scritto? E quanto sarà finanziato? Come nota Nino Sergi su Vita.it: “L’Italia rimane, con erogazioni (2022) pari allo 0,32% del Pil, al 19° posto nella classifica Ocse, dopo ben 16 paesi europei, 12 dei quali erogano tra lo 0,50% e l’1% del proprio Pil. L’impegno italiano di destinare ai Paesi più poveri lo 0,7% del Pil, assunto dai Paesi Ocse e ribadito più recentemente come obiettivo dell’Agenda 2030, è molto lontano”.

Credit foto agenzia sintesi

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