Welfare

Immigrati, gli esami non finiscono mai

Così lo vedono gli stranieri "integrati"

di Maurizio Regosa

C’è chi lo vede come una sfida per l’integrazione. Ma la maggior parte si sente mortificata. Come cittadini di serie B. Fouad Allam: «Bizzarro dare una ruolo pedagogico alla burocrazia» A poker quando un giocatore punta, spetta all’altro andare a vedere. E rilanciare, se lo ritiene impegnato in un bluff, o fermarsi, se crede che stia facendo sul serio. Sono esattamente queste le ipotesi al vaglio dei migranti. «È necessario governare il fenomeno ed evitare ogni pregiudiziale ideologica», premette Liliana Ocmin, della segreteria nazionale Cisl. «Il permesso a punti è una iniziativa positiva», aggiunge Angela Roig, corrispondente dall’Italia del giornale peruviano Correo, «anche noi immigrati dobbiamo impegnarci per raggiungere il risultato, cioè l’integrazione. È una sfida per tutti». Qualcuno direbbe che vedono il bicchiere mezzo pieno.
Ad altri appare decisamente mezzo vuoto. Radwan Khawatmi, per esempio. Per lui, siriano 56enne, da 39 anni in Italia (eletto Miglior imprenditore straniero del 2009), è una proposta «capestro, pensata in una notte buia»: «Servirà solo ad aumentare la clandestinità, a creare cittadini di serie A e di serie B, penalizzando centinaia di migliaia di lavoratori che contribuiscono al 10% del Pil». E analoga è l’opinione dell’albanese Dava Gjoka, presidente di una cooperativa sociale: «Da 16 anni mi occupo di mediazione culturale: il permesso a punti non solo non facilita l’integrazione, ma la rende più difficile creando un clima negativo».
Divide l’ipotesi di un meccanismo incentivante per il rinnovo del permesso di soggiorno: in temi così delicati vanno ponderate tutte le componenti. Talmente numerose sono le implicazioni giuridiche, amministrative, pratiche… «Se un immigrato», si interroga Gjoka, «commette uno sbaglio, giustamente sconterà una sanzione. Ma se questo errore ha effetti anche sulla sua possibilità di restare in Italia, non finirà col pagare due volte?». Ancora: «Già oggi il rinnovo ha tempi lunghissimi», sottolinea Roig, «questa nuova procedura non allungherà le pratiche? Come faranno gli uffici a smaltire tanta burocrazia?».
Bella domanda, cui in parte va incontro la proposta di Ocmin: «Per avere tempi più certi occorrerebbe affidare ai Comuni il disbrigo del rinnovo». D’altronde se, come sostiene Khaled Fouad Allam docente di sociologia del mondo musulmano, «si cerca di dare alle pratiche amministrative un aspetto pedagogico, anche lo Stato deve essere credibilmente puntuale». Altrimenti che “accordo” potrà mai essere? Certo, il regolamento in discussione non arriva a definire tali “dettagli” ma solo proprio essi a fare la differenza. «Dove si faranno i corsi d’italiano? In tutto il Nord ci sono solo 11 scuole », domanda Khawatmi.
Sono molti gli aspetti ancora da puntualizzare, spiragli in cui la discussione può inserirsi: «Non è previsto il riconoscimento dei titoli professionali acquisiti nei Paesi d’origine, spiega José Galvez, direttore del portale Impresa etnica, «mentre invece è un fronte sul quale impegnarsi anche per valorizzare le esperienze e le competenze dei lavoratori migranti». «Abbiamo chiesto un tavolo tecnico», aggiunge Ocmin, «per discutere anche degli incentivi: chi raggiunge il punteggio massimo non meriterebbe un percorso più rapido per la cittadinanza?». Ma questo è forse il vero nodo. Come ricorda Allam, «a livello europeo si va verso una restrizione e una visione minimalista del permesso di soggiorno. Il fatto è che l’Europa si sta interrogando sulla sua capacità di cambiare tessuto sociale e antropologico e non ha ancora trovato una risposta. Per questo ogni questione culturale – dalla moschea al velo – diventa subito politica».


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