Famiglia
Illeciti nelle comunità per minori: il flop della commissione d’inchiesta
«Volevamo scrivere che la Commissione di inchiesta ha partorito un topolino», scrivono Liviana Marelli e Paolo Tartaglione del CNCA in una durissima analisi della relazione conclusiva presentata a fine legislatura, «ma non è esatto. Dopo anni passati ad accusare le comunità per minori delle peggiori nefandezze, la verità è che non ha partorito proprio niente». Ventuno le ispezioni in comunità su cui la Commissione aveva ricevuto esposti: «Nel complesso non sono emerse criticità»
Sull’onda di Bibbiano, in Parlamento, nacquero non una ma due commissioni di lavoro: la “squadra speciale di giustizia per la protezione dei minori” istituita dall’allora ministro Bonafede e la “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori”. Nomi che già esprimono una visione precisa del tema.
Se la squadra speciale, nata con il ministro pentastellato che soffiava sul fuoco dicendo che «tutti gli operatori dovranno sentire il fiato sul collo da parte della magistratura», dopo pochi mesi comunicando i dati dei minori collocati fuori famiglia abbassava i toni con lo stesso ministro costretto dall’evidenza a dire che «questo non è un dato allarmante: vogliamo semmai tranquillizzare i cittadini dicendo che c’è un ministero – in realtà più ministeri – concentrati per la prima volta sulla protezione dei bambini che sono in un percorso così delicato», ecco che – con tempi accelerati dalla fine delle legislatura -a metà settembre anche la Commissione d’inchiesta sugli illeciti commessi dalle comunità per minori ha presentato la propria relazione sull’attività svolta. Che cosa ha partorito questa Commissione d’inchiesta, nelle sue 132 pagine di relazione? «Volevamo scrivere che la Commissione di inchiesta ha partorito un topolino», scrivono Liviana Marelli e Paolo Tartaglione del CNCA in una durissima analisi del report e del lavoro della Commissione, «ma a ben vedere non è esatto. La verità è che non ha partorito proprio niente. Dopo anni passati ad accusare le comunità per minori delle peggiori nefandezze» – proseguono – «da una Commissione Parlamentare che si chiama “di inchiesta sulle attività illecite connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori” ci si aspettava di avere chiara evidenza delle attività illecite connesse alle comunità. Questa Commissione avrebbe potuto finalmente dare sostanza a quanto urlato ai quattro venti da molti onorevoli: “le comunità fanno business sulla pelle dei bambini”».
E invece? Invece, il report conclude con la necessità di «superare gli scarti, che si sono diffusamente riscontrati, tra i princìpi informatori della materia e la loro concreta applicazione in un contesto spesso polverizzato, caratterizzato da situazioni emergenziali, legate anche alla limitata disponibilità di strumenti finanziari e di personale, e talora privo di efficaci forme di controllo interno ed esterno». Cose dette e ridette in tutte le sedi. Mentre rispetto all’attività di controllo, la Commissione ha deciso di effettuare controlli nelle comunità per le quali hanno ricevuto esposti e segnalazioni, realtà in cui pertanto la Commissione aveva motivo di ritenere che avrebbe trovato traccia di quelle “attività illecite” per cui è stata costituita. «Laconicamente la Commissione deve riconoscere che “le ispezioni delegate hanno verificato una generale conformità delle strutture ispezionate alle prescrizioni di legge, con alcune eccezioni», scrivono Marelli e Tartaglione. Sul punto specifico previsto dal titolo della Commissione, quindi, l’esito è che pur avendo fatto non ispezioni a campione ma mirate «in 10 delle 21 strutture ispezionate sono state riscontrate lievi irregolarità o inadeguatezze, per lo più necessitanti di ulteriori verifiche e approfondimenti documentali, che sono state segnalate alle competenti Autorità sanitarie e amministrative per le valutazioni del caso, in relazione ai rispettivi ambiti d’interesse (ASL, Regione, Comune, Vigili del fuoco e Questura). Tali irregolarità hanno riguardato, ad esempio, inadeguatezze funzionali relative ai dispositivi antincendio e alla sicurezza sul lavoro, incongruenze rispetto al numero posti letto/ospiti, inadeguatezze infrastrutturali o carenze manutentive. In un solo caso, si è reso necessario interessare l’Autorità giudiziaria in merito alla posizione di due operatori, risultati essere in possesso di titoli di studio e abilitazioni non adeguate all’esercizio delle specifiche mansioni professionali cui erano preposti. Nel complesso le ispezioni non hanno fatto emergere criticità tali da richiedere l’adozione d’interventi in via cautelare, né provvedimenti immediati di chiusura o sospensione delle attività svolte nelle strutture, restituendo, nel complesso, un quadro caratterizzato da esiti prevalentemente regolari rispetto ai requisiti di legge».
Ma andiamo con ordine. La Commissione era composta da 20 deputati e 20 senatori: gli onorevoli Cavandoli, Noja, Battilocchio, Ascari, Avossa, Baroni, Bellucci, Cantone, Colmellere, D’Arrando, De Lorenzo, Fiorini, Giannone, Menga, Nappi, Rizzo Nervo, Tripodi, Troiano, Vietina e Zicchieri e i senatori Guidolin, Boldrini, Balboni, Binetti, Botto, Catalfo, Ciampo-lillo, Collina, D’Angelo, Fregolent, Lonardo, Malan, Mininno, Pavanelli, Pellegrini, Pillon, Rizzotti, Saponara, Sbrollini e Unterberger. La presidente della Commissione (e relatrice della relazione conclusiva) è stata l’onorevole Laura Cavandoli (Lega). «La prima cosa da segnalare, su diretta ammissione della Presidente, è che la Commissione ha iniziato i lavori con ritardo straordinario, riducendo il tempo di attività a circa un anno; e che, benché composta da 40 Parlamentari, ha visto la partecipazione reale di qualcosa che somiglia a 5 persone. Il che, diciamola tutta, non solo denota con chiarezza quale sia l’importanza che rivestono i problemi dei minorenni nelle priorità del nostro Parlamento, ma costituisce una pietra tombale sulla credibilità di questa Commissione Parlamentare. Se c’è una cosa che la Commissione ha plasticamente dimostrato è il pieno disinteresse del Parlamento per la condizione dei minorenni più fragili», affermano Marelli e Tartaglione. Nella conferenza stampa di presentazione della relazione conclusiva, è stato più volte affermato che di fatto i parlamentari presenti alla conferenza stampa sono stati quelli più attivi: Laura Cavandoli (presidente della Commissione parlamentare, Lega); Stefania Ascari (M5S), Maria Teresa Bellucci (FdI), Benedetta Fiorini (Lega), Veronica Giannone (Fi), Maria Saponara (Lega), Elisa Tripodi (M5S), Simone Pillon (Lega).
Un punto che il CNCA sottolinea è il fatto che tra i tre strumenti operativi che la Commissione si è data – acquisizione di dati, ascolto di persone esperte e acquisizione di segnalazioni o esposti da cittadini e famiglie, attivando sul sito della Commissione stessa un modulo per la ricezione di esposti provenienti da privati cittadini – si sia dato molto più peso al terzo strumento. «Stante che la mancanza di dati nazionali coerenti è uno dei primi problemi sollevati dalla Commissione stessa, e che della dichiarata “autonoma raccolta di dati” nella relazione non c’è traccia e visto che la stragrande parte delle persone ascoltate non ha parlato di comunità o lo ha fatto in modo positivo, resta che le convinzioni dichiarate dal piccolo manipolo ancora nella conferenza stampa fossero consolidate in precedenza o siano maturate nell’ascolto di cittadini e famiglie che hanno sollevato gli esposti alla Commissione. Nella conferenza stampa del 5 ottobre echeggiano infatti affermazioni forti: “Bambini che vengono allontanati dai genitori senza motivo. E non parliamo di pochi casi, ma di migliaia di casi”, ha detto l’on. Giannone, “Mamme che hanno visto l’allontanamento dei propri bambini da anni e ancora non sanno dove si trovano i figli”, ha riferito l’on. Saponara, “Il sistema ha opacità e collusione con i servizi”, ha detto Lucia Ercoli, medico consulente. Leggendo la relazione conclusiva della Commissione non si trova nessun elemento a conforto di queste affermazioni, mentre è frequente il riferimento alle audizioni delle famiglie che hanno sollevato gli esposti; che, con tutta evidenza, è stato lo strumento che è andato a consolidare convinzioni già maturate in precedenza. Si legge infatti nella relazione conclusiva che “si è ritenuto di privilegiare lo strumento della segnalazione e dell’audizione libera rispetto all’acquisizione di testimonianze formali, tenuto conto anche del fatto che molte delle famiglie e delle persone interessate hanno manifestato un bisogno di ascolto che non si è realizzato nel rapporto con i Servizi sociali e le Autorità giudiziarie”». Di queste audizioni, prevalentemente svolte in forma segreta, sappiamo sostanzialmente solo che gli onorevoli sono «spesso usciti con le lacrime agli occhi…».
Ecco quindi le amare conclusioni del CNCA: «In sostanza, pur andando a fare le ispezioni solo nelle comunità segnalate dagli esposti, la Commissione ha trovato una situazione in pieno rispetto delle norme. A nessuno è venuto in mente che basare una Commissione di inchiesta sulle testimonianze di chi si sente danneggiato dalle decisioni assunte dai Tribunali per i Minorenni possa non essere una buona idea? Evidentemente no. Perché nella lunga conferenza stampa del 5 ottobre Onorevoli e consulenti hanno fatto a gara per chi la sparava più grossa contro il sistema di Tutela dei Minorenni. Eppure, anche in questa lunga conferenza stampa non si è mai parlato di comunità. Si è parlato di affido sine die, di articolo 403, rito camerale, ascolto dei minori, contraddittorio, di sindrome da alienazione parentale. Ma che responsabilità hanno le comunità su questi argomenti? Ancora una volta le comunità diventano oggetto di aggressioni che nulla hanno a che fare con la funzione pubblica che ogni giorno sono chiamate a svolgere. I pochi punti davvero “dolenti” sollevati dalla Commissione – ad esempio quello della mancanza di un sistema di rilevazione dei dati, o il mancato recepimento da parte delle Regioni delle linee di indirizzo nazionali sulle comunità – sono sottolineati da molti anni dalle comunità stesse e sono evidenziati in tutti i report di monitoraggio dello stato di attuazione della CRC in Italia. Le comunità sono al limite esse stessa parte lesa di queste inadempienze istituzionali».
Tutto il resto del lavoro svolto dalla Commissione «non riguarda le comunità, che sono diventate il terminale di un attacco al sistema di protezione dei Minorenni, guidato da persone che ritengono che lo Stato non debba mettere il naso in ciò che accade nelle Famiglie. Questa campagna denigratoria è iniziata da una decina di anni. Si sono susseguite trasmissioni televisive che hanno raccolto in maniera acritica il racconto di famiglie con figli allontanati e dei loro avvocati e hanno dipinto le comunità come terminale di un presunto “business sulla pelle dei bambini”. Niente è stato mai verificato. Ma queste storie sono state confezionate in maniera affascinante e hanno colpito al cuore le persone che le hanno ascoltate. Magistrati Minorili e Comunità non hanno saputo imbastire una risposta altrettanto suggestiva, nella convinzione di non voler esporre bambini e famiglie alla pubblica opinione. Fatto sta che la reputazione delle comunità, che pure lavorano molto meglio di un tempo proprio sulle cose che vengono loro contestate (il rapporto con le famiglie, ad esempio), ne ha fortemente risentito», ribadiscono Marelli e Tartaglione.
Chi paga il conto? «A pagare il conto sono innanzitutto le famiglie in difficoltà: seguendo la finta equivalenza “se sollevo un problema mi allontanano i figli”, molte famiglie hanno rinunciato a chiedere aiuto ai Servizi Sociali, con l’ovvia conseguenza di un aggravamento di situazioni alle quali si sarebbe potuto trovare rimedio. A pagare il contro sono gli ospiti delle comunità: un tempo dovevano difendersi solo dal pregiudizio sulle loro famiglie, mentre oggi si trovano anche a dover giustificare il fatto che nelle comunità possono aver trovato una risposta di cui avevano bisogno. Oggi, pagano il conto anche gli educatori: cresciuti in una rappresentazione così deteriorata delle comunità, non le considerano più un luogo di lavoro appassionante. E certamente pagano le comunità, che stanno chiudendo a causa della carenza di personale. Questo però non va a danno del presunto business – che, dev’essere chiaro a tutti, non esiste: le comunità quando va bene sono in pari – ma priva bambini e adolescenti in difficolta di una opportunità che si è rivelata importantissima per molti».
In allegato la relazione conclusiva della Commissione.
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