Donne che fanno la differenza

Ilaria Villa, stare da charity nel mercato dei farmaci

Ilaria Villa è direttore generale di Fondazione Telethon dal settembre 2024. La sua esperienza manageriale in multinazionali farmaceutiche è ora al servizio del non profit, dove arriva in un momento di grande evoluzione per la charity dedicata alla ricerca sulle malattie genetiche rare

di Nicla Panciera

Dallo scorso settembre, Ilaria Villa è direttrice generale di Fondazione Telethon. Dopo la laurea in economia e un senior executive Mba alla Stanford University, ha maturato una lunga esperienza manageriale in aziende multinazionali farmaceutiche come Schering-Plough, Zambon, Ucb e Roche, dove ha contribuito al percorso di sviluppo e lancio di numerosi farmaci innovativi in diverse aree terapeutiche.

Non stupisce dunque il suo arrivo in Fondazione Telethon nel bel mezzo di una grande trasformazione, iniziata con l’impegno preso dalla non profit a farsi carico dell’autorizzazione, produzione e commercializzazione delle terapie giudicate non abbastanza remunerative per le aziende del farmaco.

La decisione risale al 2023 ed è stata dettata dall’urgenza di garantire ai pazienti l’accessibilità a un farmaco salvavita per una malattia rara, l’Ada-Scid, che rischiava di uscire dal mercato a causa del passo indietro compiuto dall’azienda farmaceutica produttrice per ragioni legate alla sua scarsa redditività. Da allora, da quando è diventata titolare della produzione e della distribuzione di quel primo farmaco, Fondazione Telethon ha poi confermato il proprio ruolo sussidiario rispetto all’industria farmaceutica, con due farmaci in commercio, uno in fase d valutazione presso le autorità regolatorie e una decina in fase avanzata di sperimentazione.

I nodi da sciogliere restano numerosi, per un’organizzazione che da ente finanziatore e promotore della ricerca, con i suoi Istituti Tigem (Istituto Telethon di Genetica e Medicina) e SR-Tiget (Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica), rispettivamente 244 e 271 ricercatori, è diventata responsabile dell’autorizzazione e della commercializzazione delle terapie messe a punto dai suoi ricercatori. Un caso senza precedenti nel mondo cui potersi ispirare. Sono stati 153 pazienti trattati con le cinque terapie geniche messe a punto all’istituto Tiget (144) e con la terapia sviluppata al Tigem (9) e 451 i pazienti che hanno trovato una diagnosi grazie al programma Malattie senza diagnosi del Tigem.

Lei oggi si trova a traghettare una non profit in questo delicato passaggio. Come lo vede dal punto di vista tecnico?

Nell’ambito delle malattie rare e ultra-rare di cui Fondazione Telethon si occupa, il modello economico del mercato farmaceutico spesso fallisce. Dal punto di vista tecnico, questa trasformazione non è semplice. È stata una scelta coraggiosa, assolutamente coerente con la missione di finanziare e di svolgere ricerca di altissima qualità nel nostro Paese per arrivare a una cura. La spinta traslazionale l’ha portata a occuparsi anche delle fasi successive relative alla messa a disposizione del farmaco per i pazienti. Lo ha fatto con partnership industriali fino a quando è stato possibile e, poi, diventando un operatore di biotecnologie responsabile della immissione sul mercato di una terapia, pur rimanendo una charity.

Questo non ha eguali nel mondo. Cosa comporta tale eccezionalità?

Ad esempio, pensiamo alle competenze tecniche altamente specialistiche necessarie per operare in uno dei settori più regolamentati al mondo. La struttura si è dotata di competenze di sviluppo clinico del farmaco, per seguirne le sperimentazioni; di competenze regolatorie, per la redazione dei dossier registrativi per l’autorizzazione all’immissione in commercio; di competenze di marketing per tutte le procedure di prezzo e di rimborso, per rendere i farmaci effettivamente accessibili al paziente. In sintesi, si è cercato di creare la struttura di un’azienda, restando una charity. Ci sono poi delle criticità ulteriori, si pensi ad esempio alla capacità di attrarre i talenti negli ambiti menzionati, risorse in possesso di expertise altamente specialistiche e quindi niente affatto comuni anche nel mondo delle biotecnologie farmaceutiche. Stiamo trovando il modo di raffinare il modello, nel senso di trovare le persone giuste per le varie necessità, senza mai cambiare i valori di Fondazione Telethon, che si occupa delle terapie più complesse e di frontiera, quelle geniche.

Come è stato, dal punto di vista personale, il passaggio dal mondo profit al non profit?

È stata una scelta. Arrivo al non profit dopo moltissimi anni nell’industria farmaceutica, dove ho acquisito competenze tecniche e manageriali e cui devo moltissimo perché mi ha avvicinato alla bellezza del mondo scientifico e della ricerca finalizzata alla cura. Fondazione Telethon non potrebbe essere più diversa dal mondo da cui provengo ma, al tempo stesso, è anche per molti aspetti sovrapponibile. Quando si è prospettata questa possibilità, ho fatto quattro chiacchiere con me stessa e mi sono detta che era il momento di passare a questa nuova dimensione e di mettervi a servizio le mie competenze.

Fondazione Telethon non potrebbe essere più diversa dal mondo da cui provengo, ma per molti aspetti è sovrapponibile

Ilaria Villa, direttrice generale di Fondazione Telethon

Lei è in Fondazione Telethon da settembre, troppo presto per parlare di bilanci. C’è qualcosa che l’ha stupita?

Pur venendo dal mondo farmaceutico delle biotecnologie non avevo capito quale fosse la magnitudo del lavoro che viene fatto qui, per di più in un ambiente come quello italiano dove la ricerca non è valorizzata e finanziata come dovrebbe. Direi quasi che quello che riesce a fare Fondazione Telethon ha del miracoloso.

Come si trova?

Da un punto di vista manageriale e gestionale, questa è un’organizzazione estremamente complessa perché riunisce in sé diverse anime: quella di una charity; quella più accademica perché incorpora due grandissimi istituti di ricerca, con oltre 750 ricercatori intramurali più quelli occupati in altri centri di ricerca che a noi fanno riferimento; quella manageriale perché Fondazione Telethon è una realtà industriale.

La complessità non le è nuova, lei ha gestito grandi organizzazioni con molte decine di persone.

Sì, però erano uniformemente orchestrate in un set di operativo omogeneo. Probabilmente questa in Fondazione Telethon è la sfida professionale più complessa che io abbia mai vissuto. Faremo in modo che tutte le diverse componenti che oggi vi coesistono possano eseguire ciascuna la propria melodia e riescano a comporre una bella sinfonia.

Tornando ai farmaci, una decina sono nella pipeline. In che modo vi state muovendo per farcela?

L’organizzazione dovrà saper sostenere questa trasformazione raggiungendo gli standard qualitativi industriali. Ricordo che ci confrontiamo con le industrie più competitive del mercato. L’articolazione di Fondazione Telethon, di cui abbiamo parlato, mette a dura prova la legge che disciplina gli enti del Terzo settore. Su questo stiamo da tempo ragionando con diversi esperti. Noi crediamo profondamente nel ruolo sussidiario del Terzo settore soprattutto in un ambito così strategico come la salute, dove tocchiamo alcune delle maggiori vulnerabilità, sia quella del mondo industriale come detto sia quella dell’individuo portatore di una malattia genetica rara. Se vogliamo rendere i farmaci disponibili ai piccoli pazienti, e farli diventare grandi, dobbiamo costruire un modello alternativo. Con grande impegno, si può trovare una strada. Ovviamente sarebbe bello poter dimostrare che tutto ciò è sostenibile da un punto di vista economico e sicuramente è questa una grande sfida.

Il livello di innovazione e la qualità della scienza che facciamo attrarrà capitale, da partner filantropici, da attori istituzionali e da ventur capitalist

Ilaria Villa, direttrice generale di Fondazione Telethon

Il problema che state affrontando, quella della ricerca sulle malattie genetiche rare senza una cura, non è affatto banale.

Credo che il livello di innovazione e la qualità della scienza che facciamo attrarrà capitale, non solo da partner filantropici ma anche capitale da attori istituzionali, oltre a quello molto esigente del venture capital che subentra quando la proprietà intellettuale trova applicazioni oltre le malattie rare. Un esempio è il fondo Sofinnova Telethon Fund,  gestito da Sofinnova Partners nato nel 2018 in partnership con Fondazione Telethon, il più grande fondo italiano dedicato ad investimenti “early-stage” in biotech che operino nell’ambito delle malattie genetiche rare in Italia. Fondazione Telethon si candida a disegnare i confini di un modello di sostenibilità nel mondo delle life sciences e delle biotecnologie, affrontando alcune questioni normative, che possono evolvere dando spazio a grandi fondazioni e grandi realtà industriali che vogliono anche avere un ruolo sussidiario rispetto al mercato.

Al di fuori dai laboratori, siete anche una presenza reale sul territorio.

Ft è un punto di riferimento per i pazienti e per le famiglie che si rivolgono a noi quando ricevono una diagnosi di malattia rara. Abbiamo un servizio molto strutturato di accoglienza e le conversazioni, anche molto difficili, su cosa sia giusto fare dal punto di vista etico sono all’ordine del giorno. Le aspettative sono molto alte, la ricerca ha i suoi tempi e i suoi modi, è un’impresa che richiede tenacia e dedizione ma anche creatività e fortuna. Quindi, affinché la ricerca diventi produttiva in termini di traslazione efficace servono moltissime risorse, ma ci vuole anche tempo, quello che i piccoli pazienti e i loro genitori spesso non hanno.

C’è poi la spinta etica e valoriale di chi opera in una non profit, spesso contrapposta all’efficienza del mercato profit.

Certo, spesso si ragiona sull’efficienza, come quando si cerca di calcolare quanto si ricava da quel famoso “euro investito in ricerca”. Quello che conta per me è l’efficacia: Ft venga valutata sul numero di terapie messe a punto e sulla velocità con cui vanno a mercato, che poi è l’unica cosa che interessa alle persone per le quali quel denaro è stato raccolto. Chi mi ha preceduta, Francesca Pasinelli, aveva questa visione e qui in Fondazione, in relazione al rapporto dimensioni-risorse-sfide affrontate, ho trovato un’organizzazione super efficace.

Foto di Fondazione Telethon

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