Politica

Ilaria Alpi: quei troppi perché senza una risposta

A vent'anni dalla morte dell'inviata del tg3 e del suo operatore, la giornalista Laura Silvia Battaglia spera che vengano resi pubblici al più presto gli atti, custoditi alla Camera, relativi ai due omicidi in Somalia. Oggi il Governo ha deciso di de-secretare gli atti della vicenda

di Francesco Mattana

Avendo visto all’opera la presidente della Camera negli ultimi mesi, si può affermare che verso certi temi mostra un’attenzione e una sensibilità spiccata. L’assassinio della reporter Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin – di cui oggi ricorre il ventennale – è un argomento su cui intende fare chiarezza al più presto: ha chiesto al governo “se permangano le esigenze di segretezza sugli atti dei Servizi segreti relativi all’omicidio”. La Boldrini, insomma, ritiene che sia arrivato il momento di capire meglio ciò che è accaduto a Mogadiscio quel 20 marzo 1994: dagli esami sul corpo di Ilaria risulta senza ombra di dubbio che si è trattato di un’esecuzione, ma non abbiamo ancora capito chi fosse realmente interessato ad ammazzarla. E proprio oggi, il Governo, ha deciso di de-secretare gli atti della vicenda. Una buona notizia.

Laura Silvia Battaglia si è fatta un’idea sulla vicenda, e la espone nell’intervista seguente. Oltre alla scrittura sui quotidiani di carta stampata – tra cui Avvenire e La Stampa – collabora anche con Radio Tre Mondo e Rainews 24: come Ilaria, dunque, lavora per il servizio pubblico. Ma il motivo per cui l’abbiamo contattata è un altro: da molti anni ha un rapporto di vicinanza con l’Associazione Ilaria Alpi , al punto che il comune di Padova le ha chiesto di inaugurare una palestra intitolata alla giornalista del tg3 – è il primo impianto sportivo italiano che sceglie di chiamarsi col nome di una inviata di guerra.

Prima di rispondere alle nostre domande, Laura ci tiene a ricordare che l'omicidio di Ilaria non deve porre assolutamente in secondo piano il fatto che con lei abbia perso la vita anche Miran: la morte di un operatore, insomma, ha lo stesso identico rilievo della morte di una corrispondente.

Che idea ti sei fatta su quel 20 marzo 1994?
Il problema di quella giornata è che ci sono troppe domande rimaste ancora insolute: l’impressione, ragionando a mente fredda dopo vent’anni, è che siamo in presenza di un caso che non è stato risolto perché c’era un’intenzione precisa di non risolverlo. Ilaria e Miran si trovavano in Somalia, dove gli scontri tra fazioni rivali venivano arginati (formalmente) da una missione ONU di cui faceva parte anche l’Italia. Non dimentichiamo, a proposito del ruolo che abbiamo avuto noi italiani, che è stata aperta un’inchiesta sulle violenze dei nostri militari contro le donne somale: Ilaria avrebbe scattato anche delle foto di un episodio di stupro, e quella macchina fotografica poi non è stata trovata nel bagaglio della giornalista. Altri punti controversi: Giancarlo Marocchino, uomo d’affari italiano che operava in Somalia, dichiarò a caldo a una televisione americana presente sul posto che i due non erano stati rapiti, ma erano stati ammazzati perché si erano recati in posti dove era meglio non andare; l’intervista che Ilaria ha fatto al sultano di Bosaso – piccola città del nordest della Somalia – il giorno prima che venisse assassinata: il nastro che riprendeva questa lunga conversazione (della durata di due ore) non è mai stato trovato; una volta che la salma della giornalista è tornata in Italia, non è stata disposta alcuna autopsia: si è venuto a sapere, dagli esami fatti anni dopo, che Ilaria non era stata colpita accidentalmente, ma si era trattato di una vera e propria esecuzione; oltre alle foto e ai nastri, sono scomparsi anche i suoi taccuini. Perché è avvenuto tutto questo? Sono domande legittime, è giusto che si arrivi al più presto a fornire delle risposte certe

L’avvocato Carlo Taormina, che è stato Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi, sostiene che “la Alpi era a Mogadiscio in vacanza, non per lavoro”.
Voglio dire soltanto questo: se un giornalista si trova in un contesto di guerra , non è certo lì per divertirsi. Io non ho mai conosciuto personalmente Ilaria, ma da quel che mi dicono era una che oltretutto non staccava mai la spina dal lavoro

Rendere pubblici gli atti sul caso Alpi, come ha suggerito Laura Boldrini, darebbe una grossa mano d’aiuto nella ricerca della verità?
Senz’altro, perché il caso Alpi è molto più grande di quanto possa sembrare a occhio nudo: avendo la certezza che nella faccenda erano coinvolti imprenditori italiani, apparati dello Stato, è evidente che c’erano i presupposti per insabbiarlo. Molte persone che hanno seguito con frequenza la vicenda ravvisano delle affinità con la strage di Ustica, altro episodio avvolto ancora oggi nell’ombra

Pensi che la proposta della Boldrini verrà presa rapidamente in considerazione dal governo?
Rapidamente non saprei, perché non siamo il paese della rapidità. È una speranza la mia, non una certezza: al di là dello specifico del caso Alpi, desecretare gli atti trasmessi a Montecitorio dai servizi di sicurezza significherebbe fare luce sull’enorme raggio d’azione delle mafie; su quello che la madre di Ilaria definisce “un filo invisibile che lega la morte di mia figlia alle navi dei veleni, ai rifiuti tossici partiti dall’Italia e arrivati in Somalia

Oltre che giornalista freelance, sei anche la tutor di quaranta ragazzi della Scuola di giornalismo della Cattolica. Qual è la lezione più importante di Ilaria per questi giovani che si affacciano alla professione?
Fare il proprio dovere lavorando quotidianamente sulle piccole e grandi cose. Ilaria era una che non smetteva mai di studiare e troppo spesso, chi è già “arrivato” nella professione, smette di studiare scivolando in questo modo nel pressappochismo. Non fare tesoro delle conoscenze acquisite nel passato è un gravissimo errore e spero che i miei studenti ne tengano sempre conto

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