Politica

Il welfare secondo Elsa

Il ministro Fornero a 360 gradi su Vita magazine

di Stefano Arduini

Le giornate del ministro del Welfare Elsa Fornero ormai da diverse settimane a questa parte si concludono sempre allo stesso modo: nella sua residenza romana, un albergo che lei definisce «un ostello». Difficile che ci arrivi prima delle undici di sera. Sono questi l’ora e il luogo in cui la super esperta di pensioni, collega e amica di lungo corso del premier Monti (i ben informati sostengono che insieme a Moavero faccia parte del cerchio magico del premier) ci riceve. «Accetto l’intervista, ma solo poche questioni e a condizione che mi sia data la possibilità di mettere in luce tutte le positività di questa manovra». D’accordo, però nessun preavviso sulle domande e nessuna revisione ex post. Ci sta. Veniva descritta come una torinese algida ed altera, poco incline al dialogo. Non è così. Il clima romano evidentemente l’ha “riscaldata”. «Metto in carica il telefono e sono da lei».

Uno dei tre pilastri su cui sarebbe dovuta esser costruita la manovra era l’equità. Lei invece ha parlato di un pacchetto di misure tagliate con l’accetta. Come la mettiamo?
Occorre fare una premessa, prima di arrivare al tema specifico delle pensioni. Questa è stata una manovra nata sotto l’imposizione dell’obbligo del pareggio di bilancio da centrare entro il 2013. I tempi per un intervento più selettivo non c’erano e non potevamo correre il rischio di “uccidere” quella parte di spesa che riguarda la sanità, i servizi alla persona, le pubbliche amministrazioni locali, la scuola e così via. In questo senso sì, la manovra è stata equa.

Il risultato però è stato un aumento generalizzato della pressione fiscale. Non sarebbe stata più socialmente equa una vera patrimoniale?
Impossibile farla senza un vero censimento dei patrimoni.

Veniamo alle pensioni…
Anche qui occorre distinguere. Quella parte di interventi che caratterizza la manovra, ovvero l’allargamento del sistema contributivo a tutti, è stata certamente equa. In almeno due direzioni. La prima è l’equità fra generazioni. Abbiamo fatto scelte che garantiscono anche chi oggi non ha l’età per votare, cosa che finora nessuno aveva fatto. Poi c’è l’equità fra gruppi sociali. Ora tutti i lavoratori, che siano dipendenti pubblici, privati, liberi professionisti o politici riceveranno la pensione in base agli stessi principi: gli anni di lavoro e l’età in cui andranno in pensione. L’uniformità di trattamento è assicurata per tutti, al di là dei privilegi che in questi anni i politici hanno assicurato a quella o quell’altra categoria. Le uniche eccezioni sono state concesse ai redditi più bassi.

Salvo per chi non si vedrà indicizzare la pensione per almeno i prossimi due anni. Questo le sembra equo?
Certo che no. È stato un sacrificio che ci è stato imposto dai vincoli di bilancio. Ma questo segmento del provvedimento non fa certo parte della riforma. Lo ripeto: il caposaldo del nuovo sistema pensionistico è solo ed esclusivamente il lavoro.

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L’intervista integrale è su Vita in edicola


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