Welfare

Il welfare collaborativo come processo partecipativo

L'intervento di Gregorio Arena di Labsus, nel secondo dei cinque appuntamenti del ciclo di workshop a cura dell’impresa sociale Consorzio Girasole in partnership con Euricse, con il patrocinio del Comune di Lecco, Confcooperative dell’Adda, Csv Monza Lecco Sondrio e Anci e con il contributo di Fon.Coop

di Gregorio Arena

Per prima cosa è bene sottolineare come il tema della collaborazione sia emergendo come un tema di carattere generale. La collaborazione tra cittadini ed istituzioni sia una modalità generale, non limitata ad alcuni settori specifici.

Una vera e propria modalità di relazione. Dal punto div ista giuridico gli strumenti di questa collaborazione sono due: i patti di collaborazione, che sono legati ai regolamenti per l’amministrazione condivisa inventati da Labsus e Comune di Bologna nel 2014, e l’art. 55 del Codice del Terzo settore. Articolo che oggi è sugli scudi, anche se ha attraversato fasi non facilissime. È interessante notare anche come con la sentenza 131 della Corte Costituzionale il modello dell’amministrazione condivisa è riconosciuto come modello generale, all’interno del quale questi due strumenti rientrano.

Ci chiediamo spesso perché oggi l’amministrazione condivisa tra enti del Terzo settore e istituzioni trova questo sviluppo che quando è nata non aveva? Perché aveva alla sua origine una constatazione secondo cui il modello tradizionale di amministrazione fondato sul paradigma bipolare non era più adeguato in molti ambiti per rispondere ai bisogni dei cittadini e delle comunità. L’amministrazione condivisa vuol dire condivisione di risorse e responsabilità per affrontare insieme problemi tali da non poter essere affrontati dalle amministrazioni da sole, dal mercato da solo o dai cittadini da soli. Parliamo di problematiche complesse come i cambiamenti climatici, la gestione dei rifiuti urbani, le migrazioni o la pandemia. È evidente che non avremmo potuto uscire da questo tunnel de Covid senza la collaborazione tra amministrazione e cittadini.

A questo punto l’amministrazione condivisa è un modello di amministrazione complementare a quello tradizionale. E nella nostra Costituzione abbiamo due riferimenti: l’art. 3 secondo comma che afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona, e qui è lo Stato che è il protagonista con i cittadini destinatari degli interventi pubblici. E poi il 118 ultimo comma dove si dice che la Repubblica deve favorire le autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interessa generale. Qui il soggetto protagonista sono i cittadini. Entrambe le disposizioni si legano, perché abbiamo bisogno di entrambe le fasi.

L’art. 55 poi prevede la possibilità di collaborazione tra amministrazione ed enti di Terzo settore. I patti di collaborazione sono più ampi, perché prevedono anche la collaborazione di cittadini singoli, non necessariamente aderenti ad organizzazioni strutturati. Entrambi sono strumenti per un’amministrazione condivisa.

Sappiamo tutti che il successo del Pnrr sarà determinato dalla capacità del sistema amministrativo di usare bene i fondi che arriveranno. Ma sappiamo anche che spesso questo nel passato non è avvenuto. Ecco che l’amministrazione condivisa potrà essere uno strumento che ci permetterà di creare alleanza tra enti locali e terzo settore per la gestione onesta ed efficiente di queste risorse. In altri termini: è vero che l’amministrazione condivisa nasce come soluzione per gestire e affrontare problemi negativi ma può essere usata per affrontare temi positivi.

Da questo punto di vista è la stessa Corte Costituzionale a dire che gli enti di Terzo settore hanno una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale. Cioè gli Ets sono alleati naturali delle istituzioni e saranno capaci se coinvolti di moltiplicare le capacità di impiego delle risorse in arrivo.

Va anche detto, in conclusione, che non basta che la collaborazione sia inserita in un modello organizzativo e riconosciuta con leggi e regolamenti. Per funzionare la collaborazione necessita che ci siano fiducia reciproca, capacità di comprensione, obiettivi condivisi. Fino ad oggi la maggiore efficienza nella gestione delle risorse è stata cercata dai soggetti pubblici incoraggiando la competizione tra gli Ets, ma questo non contribuisce a creare l’humus necessario. In Italia non c’è molta esperienza di collaborazione vera tra pubblico e sociale, abbiamo però l’esperienza dell’utilizzo dei patti di collaborazione. Che hanno il vantaggio di esse molto semplici da utilizzare rispetto a co-progettazione e co-programmazione. Uno strumento già collaudato che riguarda i campi più vari, dal verde pubblico, alla scuola passando per i beni culturali, e permettono di coinvolgere un maggior numero di soggetti, anche le imprese for profit.

Non parlo di grandi multinazionali ma anche piccole imprese territoriali. Ci sono patti in giro per l’Italia in cui la collaborazione vede un’associazione di cittadini, un piccolo comune e una piccola impresa edile.

Non solo: i patti permettono di coinvolgere gli interessati, e parlo qui più specificamente di welfare. Non infatti c’è bisogno di titoli di legittimazione di nessun tipo. Quindi tra i potenziali cittadini attivi ci sono anche i bambini, gli stranieri e persone con difficoltà di vario genere. Tutti partecipano con pieno titolo.

C’è poi il tema dell’interesse generale: è difficile da definire astrattamente. Descrivere un elefante a chi non ‘ha mai visto, ma se lo si incontra lo si riconosce. Vale lo stesso per l’interesse generale. La lotta alla pandemia e ai cambiamenti climatici sono certamente di carattere generale. Ci sono interessi pubblici quanti sono gli uffici pubblici competenti. Interessi privati, quanti siamo tutti noi. L’interesse generale è una categoria ristretta e gli Ets sono dal codice stesso e della Corte costituzionali i depositari di questi interessi. I patti sono il luogo virtuale dove si individuano gli interessi generali al caso concreto.

I patti vengono usati per prendersi cura dei beni comuni materiali e immateriali. Il benessere di una comunità, in inglese welfare, fa parte di questi beni comuni immateriali. E dire che i patti di collaborazione consentono di prendersi cura del benessere è dire esplicitamente che il welfare è interesse dell’intera comunità. È quindi l’intera comunità deve sentirsi coinvolta e resposnabile del proprio benessere mettendo in campo risorse di tutti per tutti.


DA OTTOBRE A NOVEMBRE: 5 WEBINAR SULLA CO-COSTRUZIONE DEL WELFARE
Dal 7 ottobre al 17 novembre si tiene un ciclo di 5 workshop dal titolo “La co-costruzione del welfare locale” a cura dell’impresa sociale Consorzio Girasole in partnership con Euricse, con il patrocinio del Comune di Lecco, Confcooperative dell’Adda, Csv Monza Lecco Sondrio e Anci e con il contributo di Fon.Coop. Il ciclo di appuntamenti si chiuderà con un evento di follow up in presenza a Lecco, in cui raccogliere e sedimentare gli apprendimenti appresi. La partecipazione è gratuita e si svolgerà in modalità webinar sulla piattaforma Zoom.

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*Gregorio Arena, autore di Labsus

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