Welfare
Il welfare aziendale piace, ma lo usa la metà dei lavoratori
È stato realizzato da Nomisma in collaborazione con Cgil uno studio sulla valutazione e l'utilizzo di questo strumento da parte dei dipendenti. Il campione coinvolto è di circa 2mila persone tra impiegati, operai e quadri. il 70% di chi usufruisce dei servizi offerti dall'azienda li valuta positivamente. Nel corso del convegno di presentazione dei dati presentata l'esperienza di Cgm a Tradate
Cosa pensano i lavoratori che hanno la possibilità di usufruirne del welfare aziendale è al centro di uno studio Nomisma condotto in collaborazione con la Cgil. I primi dati di questa indagine condotta su un panel di oltre 70 aziende e quasi 2mila lavoratori sono stati presentati oggi nel corso del convegno “Il welfare aziendale visto dai lavoratori” alla Fondazione Stelline di Milano. A usufruire dei servizi di welfare aziendale sono il 55% dei lavoratori delle aziende dove è presente un accordo e il 70% li valuta positivamente.
Ad aprire la riflessione Massimo Bonini, segretario generale della Camera del Lavoro di Milano che sul tema ha voluto ricordare come ancora oggi il welfare aziendale riguardi per lo più le grandi aziende «occorre capire se effettivamente risponde ai bisogni perché la partita del welfare è quella di contrastare le disuguaglianze», inoltre da tenere presente la necessità di comprendere «quanto dei servizi pubblici entri nelle piattaforme di servizi e come gestire il welfare territoriale». A illustrare la ricerca Luigi Scarola, responsabile sviluppo territoriale e welfare di Nomisma che nel sottolineare la grande crescita dello strumento (il mercato dei provider, cioè dei i soggetti che fanno da intermediari tra aziende e servizi offerti ha visto un incremento del 278%) si è chiesto se effettivamente vada a rispondere agli obiettivi del legislatore che andavano dall’incremento della contrattazione di secondo livello all’aumento della produttività delle imprese e a integrare il welfare pubblico.
Entrando nei dati della ricerca che ha coinvolto un campione di 1.822 lavoratori tra impiegati (49%), operai (45%) e quadri (6%) emerge come il 45% dei lavoratori dichiari di essere stato informato solo a grandi linee e solo il 9% per nulla riguardo alle iniziative definite negli accordi aziendali che avevano l’obiettivo di incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia.
I meno informati gli operai (28% la percentuale di quanti dichiarano di non conoscere il tema del welfare aziendale). A usare maggiormente i servizi di welfare sono soprattutto le donne (61%) e le famiglie con figli (59%). Dall’indagine si evince anche che all’aumentare della mansione lavorativa e del titolo di studio aumenta anche la fruizione dei servizi. A spingere i lavoratori a non fruire dei benefit sono l’incapacità di intercettare i bisogni dei lavoratori (39%) e a seguire la scelta di ricevere una somma in denaro – anche se soggetta a una tassazione più elevata.
Il paniere dei servizi definiti dagli accordi è molto ampio ma quelli che intercettano il maggior grado di soddisfazione da parte dei lavoratori sono: mobilità casa-lavoro, mutui e prestiti oltre che educazione e istruzione.
Tra i più diffusi sono invece i fringe benefit (28%), educazione e istruzione (25%), previdenza assicurativa (21%) e assistenza sanitaria (20%). Nel concludere l’illustrazione dei dati, Scarola ha ricordato la necessità di recuperare la finalità sociale sottolineando come non si sia colta appieno la possibilità di integrare il welfare aziendale con quello pubblico attraverso il welfare territoriale. «Una sfida», ha osservato. «È necessario innanzitutto che il Piani di welfare siano costruiti partendo dalle reali esigenze e che vi sia una valutazione seria degli impati in azienda. È importante intervenire al fine di recuperare le finalità sociali e di miglioramento della qualità della vita per evitare che il welfare aziendale si trasformi in una mera misura di beneficio fiscale», ha conlcuso.
Alla tavola rotonda hanno partecipato Roberto Ghiselli, segretario confederale Cgil, Cristina Tajani, assessore alle Politiche del lavoro del Comune di Milano, Martina Tombari, area sviluppo del Gruppo cooperativo Cgm, Massimo Bottelli direttore del settore Lavoro, Welfare e Capitale umano di Assolombarda e Giulio Santagata consigliere delegato di Nomisma. Per Ghiselli occorre battere l’idea che il «welfare universalistico vada a esaurirsi», per il segretario Cgil quello contrattuale «va ripensato complessivamente, rideterminando gli ambiti, i contenuti, le forme di gestione e di sostegno con l’obiettivo di qualificare i servizi erogati favorendo l’integrazione con il sistema pubblico di welfare, estendendo anche la platea dei lavoratori che ne possano usufruire».
Da parte sua l’assessore Tajani ha sottolinea il rischio che qualora il ragionamento resti chiuso nelle aziende «è quello di vedere crescere nuove diseguaglianze. Per questo il nostro sforzo è quello di sperimentare forme di alleanze territoriali che consentano di rompere gli steccati tra chi lavora: grandi e piccole aziende, settori merceologici differenti, partite iva e lavoratori autonomi, soprattutto dove l’autonomia è più formale che sostanziale». La rappresentante del Comune ha ricordato alcuni strumenti di cui si è dotata Milano come la Fondazione Welfare Ambrosiano e le sperimentazioni di WeMi e ConciliaMI.
Tombari ha sottolineato come «l’incontro con la persona e la risposta ai bisogni reali» siano i pilastri dell’impegno dell’impegno di Cgm in ambito welfare ed è per questa ragione che il consorzio «è il player di welfare del mondo cooperativo». Per Tombari del resto serve un approccio a 360 gradi «non possono più esistere barriere e cesure tra welfare pubblico, welfare territoriale (pubblico/privato) e welfare aziendale. Obiettivo per tutti questi ambiti è – e deve sempre più essere- la risposta ai bisogni della popolazione. La responsabvile di cgmwelfare ha ha presentato anche TradateWelfare, «esperienza virtuosa sviluppata da Cgm con l’Ambito Distrettuale di Tradate, che per primo ha unificato su una piattaforma digitale una proposta completa di welfare pubblico, territoriale e aziendale» che ha aggiunto, «non può rimanere un caso isolato, ma diventare l’esempio su cui lanciare un nuovo modello di risposta ai bisogni delle persone».
Da parte sua il rappresentante di Assolombarda dopo aver ricordato la soddisfazione dei lavoratori e aver sottolineato come la crescita esponenziale delle piattaforme nasca anche dal fatto che la gestione del welfare aziendale non sia «una cosa da dilettanti», ha come il welfare possa esser generativo sui territori. A chiudere gli interventi Santagata che ha richiamato il sindacato a cogliere come questo welfare faccia parte delle politiche aziendali, «non è uno strumento universalistico, è contrattuale. Il quesito deve essere come faccio a inserire il welfare aziendale nell’altro welfare? La riposta è attraverso quello territoriale, ma è più facile a dirsi che a farsi». L’ultimo punto toccato da Santagata è stata la necessità di introdurre la valutazione di impatto.
Nelle immagini alcuni momenti del convegno
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