Lavoro

Il welfare aziendale? Nel contratto del 20% dei dipendenti (ma sotto i 258 euro)

Secondo Welfare ha mappato i Contratti Collettivi Nazionali che prevedono risorse da spendere liberamente in prestazioni previste dalla normativa sul welfare aziendale. Sarebbero interessate quasi 2,9 milioni di persone, il 20% circa di lavoratori e lavoratrici del Paese. Le quote, però, sono basse: la cifra non supera mai la “soglia” dei 258,23 euro. «Questo porta molte aziende a limitarsi ad adottare lo strumento dei fringe»

di Sabina Pignataro

Secondo Welfare ha cercato di quantificare la diffusione del welfare all’interno della contrattazione collettiva, cioè nei cosiddetti Ccnl.
Al 1° dicembre 2023 il welfare è presente in 19 Ccnl, sul totale di 893 e interessa quasi il 20% dei dipendenti (2.873.811 su 14.541.985) e il 14% delle imprese (219.123 su 1.546.376) “coperte” da CCNL firmati da Cgil, Cisl e Uil.

il welfare aziendale è più diffuso in comparti come quello dell’industria, della manifattura, dei servizi alle imprese e delle telecomunicazioni, mentre è molto meno presente in altri – come quello agricolo e dell’edilizia – caratterizzati da un’elevata presenza di micro imprese e ditte individuali, ridotti margini
economici e scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello.

Le caratteristiche del welfare

Come si legge nel rapporto, «gli importi in welfare che le imprese, in base ai CCNL di riferimento, sono chiamate a destinare ai propri collaboratori sono tendenzialmente bassi».
Tranne in un caso, «la cifra non supera mai la “soglia” dei 258,23 euro (cioè il limite definito dalla normativa fiscale per i cosiddetti fringe benefit). A fare eccezione è il Ccnl delle assicurazioni di ANIA che, in base al livello contrattuale di lavoratori e lavoratrici, prevede una cifra annuale che va dai 700 euro ai 1.000 euro. Ciò evidenzia come il settore assicurativo sia un comparto in cui il welfare è molto presente, in cui la quasi totalità delle organizzazioni ha introdotto misure e servizi a supporto dei propri collaboratori.

La questione dei Fringe benefit

«Il fatto che i contratti collettivi non prevedano delle quote di welfare elevate porta molte aziende a limitarsi ad adottare lo strumento dei fringe», specificano gli esperti di Secondo Welfare.

«In vista della stagione di rinnovi contrattuali, l’auspicio è che le parti sociali puntino sul welfare, andando oltre l’attuale soglia dei fringe benefit che, è in procinto di essere aumentata temporaneamente anche per il 2024, e si spera che possa essere confermata con una norma ad hoc. In questo modo le imprese si troverebbero nella condizione di dover adottare forme di welfare aziendale più strutturate e non limitarsi ai semplici buoni».

Questo permetterebbe ad aziende e lavoratori di sperimentare un paniere molto più ampio di prestazioni e servizi – ad esempio a sostegno della genitorialità, per la cura di familiari anziani o disabili, per la stipula di formule assicurative individuale, per l’accesso a servizi sanitari, ecc – e di conseguenza comprendere meglio le reali potenzialità del welfare aziendale, soprattutto quello di natura non monetaria.

Pur non essendoci state modifiche sul piano normativo, tra il 2020 e il 2023 i Governi che si sono susseguiti hanno realizzato una serie di interventi finalizzati a garantire un aumento temporaneo della soglia di deducibilità dei fringe benefit. In particolare il limite entro cui è possibile godere del beneficio fiscale è stato raddoppiato nel 2020 e nel 2021, passando da 258,23 a 516,46 euro.
Nel 2022 tale soglia è stata prima innalzata a 600 euro e poi a 3mila euro; quest’ultimo aumento è stato poi riproposto anche nel 2023, attraverso il Decreto Lavoro, anche se la possibilità di accedere ai 3mila euro di fringe benefit è stata riservata solo a dipendenti con figli.

Uno strumento per valorizzare la sostenibilità

«Il welfare aziendale – si legge ancora nel rapporto- tende a diffondersi in maniera disomogenea, a sfavore delle micro e piccole imprese, di quelle attive in settori meno redditizi e di quelle del Sud. Anche per questo, in alcuni contesti, stanno nascendo delle iniziative di welfare aziendale territoriale, incentrate cioè sulla costituzione di reti multiattore finalizzate a coinvolgere in maniera ampia e diffusa il territorio. In questo modo, il welfare d’impresa diviene a tutti gli effetti uno strumento per valorizzare gli investimenti e le pratiche di sostenibilità che il sistema produttivo può mettere in campo; al tempo stesso si trasforma in un’occasione di confronto collaborativo tra soggetti di diversa natura del territorio e, perciò, rappresenta anche un’opportunità per lo sviluppo di pratiche di coprogettazione».

Nel suo Sesto Rapporto il Laboratorio Percorsi di secondo welfare l’analisi ha preso in considerazione esclusivamente i contratti sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil: questo allo scopo di non considerare quei CCNL sottoscritti da sigle poco rappresentative. Inoltre, data la presenza in quasi tutti i contratti collettivi degli istituti della previdenza complementare e della sanità integrativa, si è deciso di considerare esclusivamente quegli accordi che hanno previsto una quota da spendere liberamente in prestazioni previste dalla normativa sul welfare aziendale e in fringe benefit.

Potete scaricare il rapporto da questo link

Immagine in apertura: cover del rapporto di Secondo Welfare

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