Politica

Il voto per la Brexit non ha a che fare con l’ignoranza ma con la mancanza di leadership

«La democrazia non sbaglia mai. Non si può mettere in discussione un metodo. Il problema è la scollatura enorme tra società, politica ed economia». L’analisi del voto inglese di Paolo Venturi, direttore di Aiccon ed esperto di Economia Sociale

di Lorenzo Maria Alvaro

Lo shock della Brexit non cenna a diminuire. I commenti su un voto che è stato un vero e proprio sisma per l'Unione continuano a imperversare. E mentre i leader europei si organizzano per capire come affrontare il divorzio con l'Uk la domanda che continua ad essere al centro dell'attenzione è sempre la stessa: cos'è successo nelle urne inglesi? Vita.it lo ha chiesto a Paolo Venturi direttore di Aiccon ed esperto di Economia Sociale


Partiamo dal voto. Fino a ieri, sulla base di alcuni sondaggi, si parlava di scontro generazionale. Una volta arrivati altri sondaggi sembrerebbe che il voto giovanile non c’è stato. Gli under 29 hanno più che altro disertato le urne (ha votato solo il 36% della fascia 18/29). Cosa significa?
Vorrei però prima partire da una considerazione

Prego
Credo sia fondamentale dire che la democrazia non sbaglia mai. Il metodo non si può mettere in discussione.

Per quanto riguarda il voto giovanile?
Guardando il voto abbiamo due elementi quantitativi. Uno era il sondaggio di Yougov sul voto giovanile e il secondo, sempre un sondaggio, sull’astensione dei giovani. Quello che si può dire sulla base di questi sondaggi è che più sale il voto giovanile più sale il Remain al contrario più sale il voto degli anziani più sale il Leave. Come leggere la scarsa affluenza dei giovani dunque? Stando alle tornate elettorali precedenti è un dato strutturale in tutta Europa. Perché partecipano poco? O non sono interessati o non sono coinvolti. A mio avviso una risposta può essere che è più facile fare campagna nei confronti di altre fasce di età, con interessi e problemi, rispetto ai ragazzi. È una questione che va risolta. Anche perché guardando alla realtà c’è una domanda enorme giovanile di partecipazione. La politica dei partiti non riesce ad intercettarli.

C’è un altro cavallo di battaglia che chi commenta la Brexit usa spesso. L’idea che chi ha votato Leave sia la parte di cittadinanza ignorante, i “contadini”. È così?
La qualità dell’informazione non è stata delle migliori. E si vede bene da alcune reazioni post voto. Non credo sia così. Penso ci sia una scollatura tra gli strumenti democratici, la società e l’economia. La direzione che ha preso l’Europa ha creato questa scollatura. C’è una deriva economicistica evidente. E i giovani dentro a questa scollatura preferiscono non entrare o autorganizzarsi. L’inghilterra poi è la patria dell’utilitarismo. Chi ha votato ha usato questo tipo di motivazioni sia per rimanere che per andarsene.

Qualunque sia il dato divulgato, vero o falso, ogni analisi in questi giorni si chiude con una contrazione democratica. Basta voto agli ultra anziani, basta voto ai non laureati, basta voto su certi temi. La risposta dell’Unione Europea di fronte allo scontento popolare può essere questo?
Assolutamente. Da questo punto di vista i voti si contano non si pesano. L’esercizio della democrazia è una conquista che vale nella sua forma universale.

Il fenomeno democratico pare essere il vero tallone d’Achille di questa Ue per altro. Ogni votazione che riguardato l’UE ha perso alle urne in ogni Paese
Questo non è un problema di chi vota ma dell’offerta che l’Unione propone. Le persone misurano le decisioni sulla base dell’impatto con la propria vita e di quella dei propri figli. Con la crisi si è creata una faglia sociale. Un disagio che in questi casi viene fuori.

I più scatenati contro questo voto popolare, almeno in Italia, sono espressione di una certa élite borghese e di sinistra. La stessa che quasi in tutta Italia alle amministrative, tolta Milano, è stata votata solo dalle zone centrali, perdendo quasi ovunque nelle periferie. Eppure, a ben guardare, se una certa classe dirigente non viene votata, più che accusare il voto di ignoranza forse dovrebbe chiedersi perché non viene votata. Lo stesso vale per in ambito europeo
Manca una leadership, che va costruita con forme diffuse di democrazia deliberativa. Le persone hanno bisogno di essere consultate su ciò che impatta sulla loro vita. La democrazia ha bisogno di pratica. Il capitale sociale c’è nella condivisione. Più pratichi la democrazia e rimetti al centro la comunità nelle decisioni più crei e rinsaldi un rapporto tra società e politica. Più la comprimi più crei conflitto. Il problema non è che la gente vuole andarsene dall’Ue. Ma che per troppo tempo è stata dimenticata. Nell’Europa di oggi c’è una terza società che quando fu fondata non c’era. Una volta avevamo solo i fragili a cui doveva pensare il welfare. Oggi è nata c’è la classe media che deve ogni giorno affrontare l’incognita sul futuro. A questi l’Europa ha risposto con la burocrazia. È da questa terza fascia sociale che bisogna partire.

Un ultima nota. Quando si commenta Brexit si parla di populismo, ricordando gli slogan, a volte vere e proprie balle, raccontate da Nigel Farage e dagli euroscettici inglesi. Che in campagna elettorale si racconti alla gente ciò che vuole sentirsi dire però non è una grande novità. Il voto di Milano, insieme a quello spagnolo che non ha premiato Podemos, però dimostra che tutto questo rischio populismo in realtà, laddove il cittadino veda una possibilità nei partiti tradizionali, non c’è…
Si, bisogna scongiurare due pericoli. L’individualismo e la tecnocrazia statalista. È questo che i cittadini osteggiano. I politici devono tornare a dettare i fini e non i mezzi. Oggi invece tutto è determinato dal mercato. L’altro punto importante è superare la visione del “cortotermismo”. Non si può avere solo visioni a breve termine. I partiti devono tornare a guardare al lungo periodo. È questo il motivo per cui i giovani non votano più. Perché si pensa solo a vincere le elezioni. Non ha pensare a percorsi.

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