Politica

Il voto

di Redazione

Andate a votare, perchè «quello che fa l’Unione Europea avrà un impatto sulla vostra quotidiana». È sceso in campo anche il presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso, attraverso un accorato video in sei lingue, per convincere gli europei a non disertare le urne. Perchè è
proprio l’astensionismo quello che rischia di essere l’elemento più di risalto alle elezioni europee che iniziano il 4 giugno in Gran Bretagna e Olanda, proseguono in Irlanda e in Repubblica Ceca il 5, e si concludono tra il 6 e 7 in tutti gli alti stati membri, con 375 milioni di elettori in 27 paesi. Secondo il sondaggio più recente, realizzato dall’Eurobarometro e pubblicato ad aprile, in effetti, solo il 28% degli europei ha intenzione certa di andare il votare (il 23% in Italia), mentre il 15% (l’8% nel Belpaese) già sa che non lo farà. E in genere, solo il 44% degli europei (stessa cifra in Italia) si dice interessato dal voto.
Eppure Barroso non ha tutti i torti. Da quando è nato, nel 1979, il Parlamento Europeo è passato da mero organo consultivo a un’istituzione essenziale dell’Unione Europea grazie alle procedure di
codecisione su molte materie cruciali, a cominciare da quelle economiche. E, se entrerà in vigore, il nuovo Trattato di Lisbona aumenterà ulteriore le competenze, allargandole anche a questione di
giustizia e affari interni e rafforzando quelle sul bilancio dell’Unione. Praticamente, esente dalla pratica della codecisione resta solo la politica estera e di sicurezza dell’Ue. Crescono anche i
poteri di nomina del presidente della Commissione Europea.
«È bene che gli europei si occupino dell’Ue, perchè tanto, anche se non lo fanno, Bruxelles si occupa comunque di loro e delle loro vite», ha detto Giuliano Amato, che ha presentato un appello al voto insieme ad altre personalità, dall’ex premier greco Costas Simitis all’ex ministro dell’Interno tedesco Otto Schily.
Al di là dell’astensione, queste elezioni sono segnate da una incertezza istituzionale legata proprio alla mancata entrata in vigore del Trattato di Lisbona, prevista per il primo gennaio 2009 ma poi saltata per il no al referendum irlandese. L’attuale parlamento si è chiuso con 785 deputati, ma, secondo il Trattato vigente, quello di Nizza, deve ‘perderè 49 parlamentari e infatti da eleggere la prossima settimana sono 736 parlamentari. Se alla fine in autunno gli irlandesi diranno sì al nuovo trattato e questo entrerà in vigore a inizio 2010, si dovranno invece «riaggiungere» altri 15 deputati, perchè Lisbona ne prevede 751.
Ancora una volta, si profila la vittoria dei Popolari, ovviamente tutta da confermare dalle urne, ma è vero che le previsioni nazionali vedono il centrodestra in netto vantaggio, tra gli altri, in Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Polonia, Svezia, mentre in Spagna c’è un testa a testa tra Psoe e Partido Popular con un lieve vantaggio di circa un punto per il primo.
Il gruppo che avrà più voti è decisivo per la scelta del nuovo presidente della Commissione, anche se formalmente il legame diretto viene stabilito solo nel Trattato di Lisbona non ancora in
vigore. Comunque, non a caso, alla Commissione a Bruxelles spiegano che il presidente Barroso «attenderà l’esito del voto delle europee», e questo «per rispetto dei cittadini europei che si saranno espressi».
Già si preparano, infine, i grandi giochi per la presidenza del Parlamento Europeo. Tradizionalmente (con qualche eccezione), i cinque anni di legislatura vengono divisi tra popolari e
socialisti. Così nel 2004-2009 al socialista spagnolo Josep Borrell è succeduto il popolare tedesco Hans Gert-Poettering. Per il 2009-2014 i giochi sembravano fatti, grazie anzitutto a un accordo di
Francia e Germania su un nome altamente simbolico, quello dell’ex premier polacco nonchè uno dei fondatori dello storico Solidarnosc, Jerzy Buzek, popolare che sarebbe presidente per i primi due anni e mezzo. Nella seconda metà della legislatura presidente sarebbe l’attuale capogruppo socialista, il tedesco Martin Schulz (quello che Berlusconi chiamò «kapo» nel 2003).
Solo che in primavera Berlusconi ha rimescolato le acque, lanciando la candidatura dell’attuale vicepresidente dell’Europarlamento, Mario Mauro, ciellino, il quale ha ricordato che dal 1979 mai un italiano ha presieduto l’Europarlamento. La mossa ha spiazzato un pò tutti. E non sarà facile dire di no a Berlusconi, visto anche che la delegazione italiana nel gruppo del Ppe potrebbe
essere la più cospicua grazie anche alla fusione Forza Italia-An nel Pdl e a un calo della tedesca Csu. I giochi saranno fatti a fine giugno in una riunione Ppe ad Atene.
Graham Watson, leader dei liberaldemocratici, ha però lanciato la propria candidatura, guardando al successo del liberale irlandese Pat Cox presidente tra il 2001 e il 2004. E, a dire il vero, qualche
maldipancia tra i socialisti serpeggia per l’«abbraccio» con il Ppe. I Verdi hanno diffuso un comunicato in cui affermano che il presidente del Pse, l’ex premier danese Poul Nyrup Rasmussen, ha intenzione di abbandonare la «grande coalizione» e sceglierne una con il partito ambientalista. Ma un portavoce del gruppo del Pse si è affrettato a smentire. Peraltro, il Pse sarà toccato da una trasformazione: per accogliere il Pd , si chiamerà probabilmente «Alleanza dei socialisti e democratici».

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