Economia

Il volto buono dell’invasore cinese

Gli investimenti economici lasciano spazio agli aiuti allo sviluppo. Una svolta che i leader locali hanno molto apprezzato. Il senegalese Wade: «Sono soddisfattissimo»

di Redazione

«Una differenza tra occidentali e cinesi c’è: i primi fanno promesse che non mantengono, Pechino no». Difficile ingannare il ministro delle Finanze senegalese. Tipo tosto, politico di lungo corso e una sensibilità acuta per i dati statistici. E le statistiche non perdonano. Non nei Paesi dell’area Osce, colpiti da una recessione tanto grave da mettere a repentaglio i fondi pubblici destinati al Sud del mondo a titolo di aiuti pubblici allo sviluppo, e tantomeno in Africa, che ormai guarda alla Cina come l’alleato internazionale più sicuro per salvare la pelle.
«Manterremo il volume degli scambi con il continente, aumenteremo i nostri investimenti e allevieremo il debito estero dei Paesi africani», ha dichiarato il presidente cinese Hu Jintao nel corso della sua ultima tournée in Africa (10-17 febbraio) che lo ha visto stringere mani e siglare contratti commerciali e accordi di cooperazione a catena in Mali, Senegal, Tanzania e Isole Mauritius. Per Hu Jintao si è trattato della quarta tournée africana dal suo approdo alla più alta carica statale cinese. Era il 2003. Da allora la Cina è diventata un partner pressoché insostituibile per gli africani e molto ingombrante per gli occidentali.
Traumatizzati dalla penetrazione tentacolare dei cinesi, europei e americani cercano in tutti i modi di far capire ai leader del continente che dietro il suo corteggiamento Pechino nasconde interessi che sul lungo termine rischiano di fare più male che bene. I disordini scoppiati in Zambia nel 2006 contro imprenditori cinesi poco rispettosi dei diritti dei lavoratori hanno però convinto le autorità cinesi che era giunta l’ora di cambiare l’immagine della Cina in Africa.
Con questa tournée, il presidente Hu ha fatto tappa in Paesi non strategici per l’approvvigionamento della materie prime (tra cui il petrolio), con l’obiettivo di far capire alla concorrenza e agli africani che lo sviluppo del continente è un tema prioritario per Pechino. E la mossa sembra aver fatto breccia. In Senegal, il presidente Abdulaye Wade ha definito il partenariato sino-senegalese «esemplare». Il segreto di tanto successso? La costruzione di un teatro e di 11 stadi regionali, i lavori di modernizzazione della città santa Touba, l’invio di medici cinesi e accordi di cooperazione per 90 milioni di dollari. «Sono talmente soddisfatto della qualità del lavoro», ha sottolineato Wade, «che ho chiesto al mio primo ministro di concedere alle imprese cinesi altri progetti di costruzione o di modernizzazione di altre città senegalesi».
Salute, cultura, sport, educazione e infrastrutture sono i settori che Hu Jintao ha voluto privilegiare. A Bamako, in Mali, il presidente cinese ha posto la prima pietra per la costruzione del Ponte dell’amicizia sino-maliano, un’opera lunga 2,5 chilometri con un costo complessivo di 75 milioni di dollari e definita dallo stesso Hu «il più grande regalo» mai concesso dalla Cina all’Africa. A Dar-es-Salaam, in Tanzania, i cinesi hanno inaugurato uno stadio da 55mila posti e annunciato aiuti pari a 22 milioni di dollari. Infine nelle Mauritius, porta d’accesso strategica per il mercato europeo, Pechino ha promesso 500 milioni di dollari per la creazione di una zona economica speciale.
«Questa tournée dimostra che Pechino non ha nessuna intenzione di abbassare la guardia in Africa, anzi», insiste Michel Beuret, co-autore di La Chinafrique. «Il numero delle visite diplomatiche è incredibilmente elevato. E ogni visita si conclude con una raffica di accordi economici». Non a caso Hu Jintao è stato preceduto in gennaio da due pesi massimi della diplomazia cinese: il ministro degli Esteri e quello del Commercio.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA