Non profit

Il volontario è solo al servizio del malato

Sanità. Quando la struttura è for profit

di Gian Maria Comolli

Sono volontaria in una casa di cura lombarda. Da poco ho capito che questa è di proprietà di un gruppo imprenditoriale e quindi con questo servizio ci guadagna, perciò mi chiedo: è giusto fornire un servizio gratuito come quello del volontario in una struttura che ha come finalità il profitto? Lettera firmata Il quesito posto è acuto ma contemporaneamente delicato trattando del servizio al sofferente. Per comprendere la tematica serve evidenziare che le strutture socio-sanitarie possono essere pubbliche, private non profit e private profit. La finalità del profitto distingue le prime due dalla terza. Gli enti socio-sanitari ?profit? sono di proprietà di grossi gruppi che investono dei capitali per costruire e gestire case di cura o Rsa; si assumono il rischio d?impresa e dirigono la produzione secondo le leggi del mercato ricercando il profitto. La strategia del profitto, caposaldo dell?economia, è eticamente condivisibile ma fatica, a mio parere, a trovare un?accettabile collocazione nella sanità dove la salute non è un prodotto ma un concetto difficilmente misurabile, essendo ogni persona eterogenea anche nella modalità di esprimere la malattia. Gli enti socio-sanitari ?non profit?, prevalentemente di proprietà di ordini religiosi o gruppi ecclesiali, pur ricercando l?efficienza, l?efficacia e la riduzione dei costi, oltre che essere impossibilitati statualmente a distribuire eventuali dividendi e utili di bilancio, avendo l?obbligo di reinvestirli nelle attività loro proprie o in altre opere sociali, sanno gestire la flessibilità, per esempio nei confronti dei Drg. Ciò porta, a volte, a perdite economiche anche notevoli. La lettrice molto lucidamente si chiede: «È giusto fornire un servizio gratuito come quello del volontario in una struttura che ha come finalità il profitto?» Se guardassimo le logiche societarie basate sulle leggi del mercato e della concorrenza o il contesto culturale che confonde il valore con il prezzo, la bontà con l?efficienza, la produttività con il profitto, la risposta sarebbe negativa; voglio invece lasciare le conclusioni ai lettori mediante due considerazioni. Il volontario è colui che testimonia con la sua vita e con il suo servizio il valore della gratuità mediante azioni disinteressate, rese senza alcun compenso né di carattere economico, né di prestigio, né di potere, ma solo nell?ottica del dono e della condivisione con gli altri di quello che si è e di ciò che si ha. È questa una proposta rivoluzionaria in una società che vanta, come ricordava Simone Weil, «il diritto a un compenso per ogni sforzo, per ogni lavoro, per ogni sofferenza e per ogni desiderio». Il volontario in un ente è sempre e solo al servizio, soprattutto relazionale, del malato, quindi deve rifiutare ogni richiesta di svolgere mansioni istituzionali, anche solo imboccare l?allettato. J. Mahoney in un libro dedicato all?etica dell?impresa Business and Ethics mette come sottotitolo Olio ed acqua. L?autore che identifica l?olio con gli affari e l?acqua con l?etica ricorda l?impossibilità di un?unione tra i due elementi perché gli «affari sono affari»; perciò, anche se continuiamo a mescolare acqua e olio in un catino, l?olio tornerà sempre a galla senza modificare la sostanza. IL PUNTO «conflitto d?interessi?» Essere volontario in un ente di proprietà di un gruppo imprenditoriale crea dubbi. Per questo occorre avere ben chiaro che cosa sia il proprio compito e soprattutto il perché lo si compie. A muovere i volontari è il testimoniare il valore della gratuità. Da non dimenticare, poi, che la persona che presta la sua azione in una struttura sanitaria è sempre e solo al servizio, soprattutto relazionale, della persona malata.


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