Volontariato

Il volontariato “rivoluzionario” degli immigrati

Il 22 giugno la presentazione di “Volontari inattesi”, prima indagine nazionale sul tema, promossa da CSVnet e realizzata dal Centro studi Medì. I dati, le storie, le motivazioni e la “sfida” al non profit di questi nuovi protagonisti dell’impegno sociale gratuito

di Redazione

È uscito da pochi giorni “Volontari inattesi. L’impegno sociale delle persone di origine immigrata” (Edizioni Erickson, pagg. 352), rapporto della prima ricerca nazionale svolta sull’argomento.
Promossa da CSVnet, l’indagine è stata realizzata dal Centro studi Medì di Genova e curata da Maurizio Ambrosini (università di Milano) e Deborah Erminio (università di Genova, Centro Medì). L’intera rete dei Centri di servizio per il volontariato, per buona parte del 2019, ha partecipato direttamente alla raccolta dei dati attraverso centinaia di questionari e interviste in profondità. CSVnet aveva già parlato dei contenuti dell’opera, che sarà presentata on line il 22 giugno (ore 16-17.30).

I primi dati quantitativi, presentati lo scorso ottobre, individuavano già una figura di immigrato per lo più giovane e con un alto grado di istruzione e di integrazione. Ma soprattutto ribaltavano l’immagine dei migranti come solo destinatari di accoglienza e aiuto, rivelando al contrario l’esistenza di un gran numero di essi impegnati nelle forme più disparate di solidarietà a favore degli italiani. È il frutto di quel “piccolo gesto rivoluzionario”, come spiegano nella prefazione il presidente di CSVnet Stefano Tabò e il consigliere delegato Pier Luigi Stefani, compiuto nel 2018, quando fu scelto di indagare in modo “invertito” la relazione tra volontariato e immigrazione.
Il libro colloca ora quei dati in un contesto di grande ricchezza: lo fa analizzando i racconti di 110 immigrati volontari di più o meno lungo corso, che confidano i timori, le soddisfazioni e le lezioni imparate nella loro esperienza; lo fa raccontando come cinque grandi reti nazionali del non profit (Avis, Aido, Fai, Misericordie, Touring Club) hanno gestito il contributo di questi “nuovi” volontari nelle loro attività; lo fa, infine, attraverso dieci buone pratiche che descrivono i rapporti tra i volontari di origine straniera e altrettante realtà associative locali sparse in tutta Italia.

A dare origine alla ricerca era stata una doppia intuizione: da una parte, di come stesse crescendo il ricorso alla consulenza dei Csv da parte di aspiranti volontari stranieri; dall’altra, di come questo fosse “un argomento pressoché inesplorato nelle dimensioni e nei significati”. CSVnet ha quindi contribuito a definire il metodo e il focus della ricerca, “prendendo come riferimento la definizione del volontariato più classica (…): un’attività più o meno organizzata, svolta gratuitamente, in modo spontaneo e a beneficio dell’intera collettività. Pur consapevoli delle infinite sfumature che il nostro oggetto d’indagine presenta, – spiegano Tabò e Stefani, – abbiamo voluto affermare fin dal principio che intendevamo osservare nuovi protagonisti del volontariato nel solco del tradizionale impegno sociale del nostro Paese”.
«La ricerca ha dimostrato che gli immigrati sono “carne e sangue” di questo Paese anche nel volontariato, e del resto ciò si evidenzia anche nell’attuale periodo di emergenza sanitaria, in cui gli stranieri sono presenti, oltre che nei lavori essenziali, in tantissime azioni solidali, organizzate e non», dice Ambrosini. «Il volontariato, inoltre, si conferma come soggetto più accessibile e ricettivo della politica nel dare la possibilità a queste persone di esercitare una cittadinanza sostanziale».

L’altro grande filone della ricerca è più “interno” e riguarda la sfida che gli immigrati volontari pongono al mondo non profit. “In che modo, – si era chiesto CSVnet, – questa nuova presenza sta influenzando l’identità delle associazioni ospitanti, il loro modo di organizzarsi e di relazionarsi? Quali opportunità si svelano? Quali criticità si incontrano?”.
La risposta è nella grande quantità di argomenti che viene ora consegnata “a tutte le realtà del terzo settore affinché ne traggano motivi di riflessione e piste di lavoro per l’immediato futuro”.
«Il volontariato è chiamato a vivere anche internamente quei valori di accoglienza e rispetto della persona che professa», è la conclusione di Ambrosini. «Dovrebbe ad esempio chiedersi sempre di più come valorizzare culture “altre” e in generale come fare cultura nel Paese attraverso queste nuove figure. Ad esempio, alcuni giovani di origine straniera rivendicano il loro portare il velo o il colore della loro pelle come un messaggio costitutivo della loro pratica di volontariato: ed è solo uno dei risvolti interessanti su cui le associazioni potrebbero interrogarsi».

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