Osservate bene questa foto: sembra una vita fa. Romano Prodi Presidente del Consiglio, Paolo Ferrero Ministro del Welfare. Risale al 2007, ed è tratta dall’ultima Conferenza Nazionale del Volontariato organizzata in Italia. La Legge quadro che disciplina il volontariato, la 266 del 1991, all’articolo 10 impegna l’Osservatorio Nazionale per il Volontariato ad organizzare con cadenza triennale la Conferenza, “alla quale -recita il punto ‘i’- partecipano tutti i soggetti istituzionali, i gruppi e gli operatori interessati”.
Di anni ne sono passati cinque, ma finalmente dal 5 al 7 ottobre, all’Aquila, ci sarà la nuova Conferenza. I tempi di Prodi e Ferrero sembrano veramente lontani: l’Italia è un Paese in declino che vive una crisi da cui, nonostante l’ottimismo che l’attuale Presidente del Consiglio Mario Monti cerca di infondere, sarà lunga e ardua uscire (anche perché non è solo economica). Di risorse ce ne sono poche; il welfare, soprattutto quello sociale, sta vivendo cambiamenti epocali, e l’attenzione dedicata al terzo settore e al volontariato da parte della politica -tranne rare e lodevoli eccezioni- è ai minimi storici.
Il programma della Conferenza dell’Aquila non esiste ancora, anche se fra gli addetti ai lavori circola una bozza che deve essere ancora affinata. Esiste un documento definito “Spunti di lavoro per il documento finale” che verrà affinato anche tramite una serie di incontri (uno a Roma il 14 settembre, uno a Milano il 17 e l’ultimo a Napoli il 22). Per ora si sa che, oltre ai saluti e agli interventi di rito, durante la Conferenza verrà fornita una fotografia attualizzata del volontariato italiano e si svolgerà una tavola rotonda. Poi la divisione in gruppi dedicati a diversi temi per approfondirli e proporre piste di lavoro comune.
La Conferenza del Volontariato ha un obiettivo assai vago, ma può essere sicuramente un’occasione, anche dal punto di vista mediatico -probabilmente faranno un passaggio sia il premier Monti che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano– per rilanciare la discussione su un mondo di cui si dice tanto bene in giro quanto si ignora realmente il suo apporto al paese e le condizioni in cui opera.
Francesca Danese, vice presidente di CSVnet, il Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio, in questi mesi ha girato l’Italia intera per partecipare agli eventi preparatori della Conferenza. Parla di un volontariato che reagisce alla crisi, chiedendo a gran voce di partecipare alla vita democratica e non solo di gestire servizi concreti. E sembra che sia così soprattutto nelle zone del Paese in cui il volontariato è ancora una forza fresca, che non si limita -o si rifiuta proprio- alla gestione di pezzetti di welfare su mandato degli enti locali in affanno.
Negli “Spunti di lavoro per il documento finale” dei promotori della Conferenza (che sono il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale per il Terzo Settore e le Formazioni sociali, l’Osservatorio Nazionale per il Volontariato, il Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato) si parla di un volontariato che vuole “abitare il cambiamento” e ci si appella ad esso affinché provi “a parlare al Paese, per dare il proprio responsabile contributo per trovare tra le tante macerie, già oggi, quei germogli di speranza che permettono di guardare al futuro con occhi meno spaventati”.
Cosa significa parlare al Paese? Il volontariato -o meglio i suoi dirigenti- amano spesso interloquire con le istituzioni (dagli assessori ai ministri). Sono occasioni importanti per far sentire la propria voce. Ma altrettanto spesso non si pongono il problema di come parlare fuori dai circoli degli “addetti ai lavori”, per infondere e raccogliere nuove idee, nuovo entusiasmo, nuove speranze.
Di documenti emanati dalle conferenze è pieno il mondo, ma la sfida qua si fa interessante: il volontariato sarà capace di “parlare al Paese”? Sarà in grado di trasformare una Conferenza di cui si parla (e si parlerà) molto poco in un momento forte di riaffermazione della propria identità originaria di forza viva, sana e utile all’Italia? Ce la farà a trovare posizioni comuni e a lavorarci sopra, rifiutando spaccature e protagonismi come invece spesso accade? Si manifesterà dando un segnale di umiltà, ascolto, coesione e partecipazione reale ad una politica ridotta sempre di più ad un teatrino mediatico popolato da vecchi e nuovi attori? E prima ancora: è convinto il volontariato di questa identità e di essere un attore del cambiamento? Scusate, ma chiudere con un punto interrogativo è d’obbligo.
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