Famiglia

Il viaggio più duro? Quello verso il lavoro

Che fine fanno gli studenti che escono dai corsi fioriti in tutta italia? Pochi fortunati sono impiegati nelle agenzie specializzate. Gli altri?

di Chiara Sirna

A.A.A. operatore turistico responsabile cercasi. Su carta esistono, per lo meno negli attestati di frequenza di master e corsi di specializzazione. Sul campo invece è assai più difficile trovarli. O anche solo scovarne le tracce. L?università è salita su un treno in piena corsa sfornando di anno in anno master, diplomi, corsi e scuole ad hoc, ma il mondo del lavoro riesce ad assorbire le nuove leve? In altre parole, l?offerta è proporzionata alla domanda? E dove vanno a finire i professionisti di turismo responsabile? «Vorrei capirlo anch?io», esclama Enrico Marletto, operatore di Viaggi Solidali. Se a dirlo è uno che di esperienza sul campo ne ha da vendere, sia come promotore di pacchetti viaggio etici che come docente di aspiranti manager di turismo sostenibile, preoccuparsi è lecito. «C?è ancora un enorme squilibrio tra domanda e offerta e un gap da colmare tra formazione e placement», spiega. «È vero che stanno nascendo convenzioni con ong e in generale con il mondo della cooperazione, ma se poi il prodotto non è commercializzabile siamo punto e a capo». La via d?uscita? «Intanto un?analisi di mercato», suggerisce Marletto, «poi professionalizzazione dell?offerta e garanzie di qualità. Anche per noi valgono le leggi degli altri. Basta pensare al commercio equo e solidale: all?inizio era di nicchia, ora è un mercato a tutti gli effetti». Cambiare dall?interno Di operatori turistici responsabili ?purosangue? ce ne sono 25 in tutta Italia, al lavoro nelle sei agenzie di settore. Gli altri o scendono a compromessi con i tradizionali tour operator cercando di contaminarli il più possibile, oppure cambiano strada. «Dobbiamo fare da virus per cambiare l?inclinazione del turismo più classico», spiega Maurizio Di Marco, direttore del centro di formazione del Cts e responsabile del master in Imprenditorialità e management del turismo sostenibile e responsabile: il primo nato in Italia e ancora unico nel suo genere. «Non a caso», aggiunge, «puntiamo sull?idea di imprenditorialità e sulla creazione di figure manageriali che sappiamo mettersi in gioco mettendo a frutto i principi cardine della sostenibilità. Sta a noi far crescere il mercato e fare in modo che non resti di nicchia». E i segnali positivi non mancano: se infatti Aitr – Associazione italiana turismo responsabile nel ?98 tra i suoi soci contava soltanto un?agenzia specialistica, oggi può vantarne 6, con una programmazione più che quintuplicata, da 10-20 viaggi l?anno a circa 50-60 a testa. «Il tema del lavoro è molto delicato», racconta il presidente Maurizio D?Avoglio, «se uno diventa esperto di turismo responsabile poi cosa fa? Poco o nulla. Io consiglio sempre di seguire percorsi di studio tradizionali con qualche corso di specializzazione, ma solo in aggiunta. Tutto sta ad avviare un?impresa o a mettere in pratica il nostro sistema di valori altrove». Anche se su questo fronte siamo ancora soltanto agli albori. Alcuni operatori come Ventaglio, Il Tucano e Cts si stanno aprendo a una nuova filosofia del turista e del viaggiatore, mentre i più grandi tour operator hanno avviato un tavolo di trattativa ad hoc. Ma il tutto procede a piccoli passi. «Quando il mio ruolo non sarà più necessario, allora avrò aggiunto l?obiettivo», commenta Ellen Bergman, sustainable tourism manager del gruppo Ventaglio, che pure sul fronte della sostenibilità ambientale, anche solo in azienda, ha avviato diverse iniziative (risparmio energetico, car-sharing e uso dei mezzi pubblici per i dipendenti). «Questi master», dice, «sono proliferati un po? troppo e forse dovrebbero essere organizzati in maniera più proficua». A cominciare dalla selezione dei candidati, che spesso arrivano dai percorsi più disparati: lettere, lingue, scienze politiche o altro. «Chi vi accede a volte di turismo non ne sa nulla», continua la Bergman, «300 o 400 ore che siano servono a poco, sarebbero più utili dei moduli ad hoc nei corsi di laurea tradizionali. Chi pensa di andare in azienda a lavorare per la sostenibilità si sbaglia di grosso, devono sapersi creare uno spazio. Possono solo portare avanti una forma mentis, ma è una strada lunga e in salita. Io accumulo tanti di quei mal di testa!». «Fin quando continueremo a dividere il turismo su due binari non andremo mai avanti». E se a dirlo è un nome come Duccio Canestrini, scrittore, antropologo, pioniere del turismo sostenibile, c?è da credergli. «Il mercato sta cambiando, tante realtà turistiche si dichiarano favorevoli alla conservazione e alla sostenibilità, ma bisogna anche educare il viaggiatore. Più la sensibilità cresce e più si aprono spiragli concreti di business. Lo dicono anche le direttive Ue che il turismo dovrà diventare responsabile». «Non so fino a che punto sia possibile una professionalità specifica», spiega Umberto Martini, docente di Marketing del turismo a Trento e direttore del master in Tourism of management. «Il passaggio dal viaggio che io definisco a quattro S – sun, sand, sea and sex – a quello a tre L – landscape, leisure and learning – è un fenomeno antropologico in divenire. Bisogna diventare manager responsabili a 360 gradi, ma pur sempre manager».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA