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Il viaggio dello “squalo” Nuland nel Caucaso
La rivolta di Maidan a Kiev, sostenuta dagli Stati Uniti, ha portato l’Ucraina a una sanguinosa guerra civile. Un piano che non ha funzionato pienamente. Ecco il bisogno di aprire un secondo fronte e mandare in missione l’Assistente al Segretario di Stato per gli affari europei ed euroasiatici nella transcaucasia
Washington, nel suo desiderio di consolidare il suo ruolo di potenza egemone globale, di mantenere o di rafforzare la sua posizione dominante, tenta continuamente a destabilizzare lo spazio post-sovietico per formare una zona d’instabilità intorno alla Russia.
La rivolta di Maidan a Kiev, secondo le parole dello stesso Barack Obama, avviata e sostenuta dagli Stati Uniti, ha portato l’Ucraina a una sanguinosa guerra civile, a un disastro economico e umanitario, alla perdita della sovranità e dell’integrità territoriale del Paese. I piani di Washington, anche in questo caso, non hanno funzionato pienamente, quindi c’è il bisogno di aprire un secondo fronte.
“Il successo” di Maidan in Ucraina, così come la crescente diffusione dei sentimenti nazionalistici, sono modelli per attivare le forze filo-occidentali anche nel Caucaso del Sud.
Solo valutando questi elementi si può tentare d’interpretare il recente tour dell’Assistente al Segretario di Stato USA per gli affari europei ed euroasiatici Victoria Nuland nel Caucaso meridionale: il 16 febbraio a Baku, il 17 a Tbilisi, il 18 a Yerevan.
Qual è il significato di questa missione? Perché proprio ora?
La signora Nuland è un personaggio chiave della politica americana su questioni cruciali come l’allargamento della Nato, l’attività delle forze della coalizione occidentale in Afghanistan, la lotta contro l’anti-americanismo in tutto il mondo; è una specialista dello spazio post-sovietico, soprattutto un’esperta di “rivoluzioni colorate”. Suo marito Robert Kagan è il fondatore del “Project for the New American Century“, finalizzato a favorire la diffusione dell’americanismo come ideologia globale. Durante l’era Bush, Kagan giocò un ruolo significativo nella formulazione della dottrina di politica estera statunitense.
“Gli squali si muovono guidati dall’odore del sangue”, è triste dover scrivere queste parole, ma, l’analogia, con riferimento al viaggio della Nuland nella transcaucasia, diventa naturale sullo sfondo del protagonismo che questa diplomatica americana ha avuto nella protesta di Maidan a Kiev. È grazie alla sua partecipazione al Maidan, ovviamente tra le file dell’opposizione a Janukovic, che la Nuland ha ampliato la sua fama. Trascinata dal suo fervore rivoluzionario, si mise addirittura a distribuire tartine ai manifestanti. Inoltre, risale al febbraio 2014, la sua famosa citazione: “fuck the UE”, poco diplomatica e poco garbata nei riguardi dell’Unione Europea, ma di straordinaria efficacia esplicativa su quanto le mire USA sull’Ucraina possano mai coincidere con gli interessi europei.
Prima tappa del tour caucasico della Nuland è stata l’Azerbaijan, Paese strettamente coinvolto nei progetti energetici americani, poi la Georgia che ambisce a entrare nella Nato, infine l’Armenia.
Secondo alcuni esperti, proprio l’Armenia sarebbe l’obiettivo principale del viaggio: una “verifica”, della volontà del Paese nell’intraprendere una “transizione democratica”. L’Armenia rappresenta l’unico Paese della regione caucasica membro della CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) e, dal 2015, dell’Unione economica eurasiatica. Una tal politica estera di Yerevan non corrisponde certamente agli interessi di Washington nella regione.
Ed è così che, anche in Armenia, si riscopre un oggettivo e costante scontento sociale che, qualora alimentato potrebbe essere usato come detonatore per un’esplosione all’interno del paese.
In Armenia per più di cinque anni, i rappresentanti del National Endowment for Democracy (NED), dell’U.S.Agency for International Development (USAID) e del National Democratic Institute (NDI) si sono prodigati alla formazione di attivisti della cosiddetta “società civile”, fornendo anche sostegno finanziario a organizzazioni non governative locali dai titoli altisonanti, spesso poco chiari ma intriganti: Ufficio Vanadzor dell’Assemblea civile di Helsinki, Club giornalistico “Asparez”, Yerevan Press Club, Centro caucasico d’iniziative per la pace, Helsinki Association, Comitato per la protezione della libertà di espressione, Comitato armeno di Solidarietà con Maidan.. I loro obiettivi principali sono il consolidamento della “società civile”, la creazione di una rete di media “indipendenti” e di gruppi ad hoc nelle reti sociali, così come l’organizzazione degli attivisti filo-occidentali che a comando, forse della stessa Nuland, potrebbero scendere in piazza, come già più volte successo durante le varie “rivoluzioni colorate” “ispirate” dal Dipartimento di Stato americano.
Come sostiene l’analista politico Valdimir Ignatenko, non ci si dovrà quindi meravigliare se vedremo, tra poco, la stessa Nuland, distribuire pagnotte anche per le vie di Yerevan.
Per evitare l’ingerenza degli americani nei processi politici dell’Armenia, ogni armeno avrebbe dovuto recarsi a “salutare” la Nuland all’ambasciata americana di Yerevan per ricordarle che le questioni interne dell’Armenia, sono questioni armene. Questa posizione non è anti-americanismo ma è solo il patriottismo.
Fonti:
aftershock.su
politobzor.net
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