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Il viaggio dall’Africa verso l’Europa? Dura più di due anni
È il dato più ricorrente e narra di un'escalation di deprivazioni: "il 75% dei migranti ha subito abusi fisici", per poi affidarsi alla tratta in barca nel Mediterraneo centrale "dove oggi muore una persona ogni 42". A rivelarlo i dati eclatanti del report di Medmig, gruppo di lavoro di tre università inglesi e ong europee che ha raccolto le testimonianze di 500 individui che sono riusciti ad arrivare in Italia
Due anni di viaggio in condizioni proibitive per poi morire in mare: è un destino più che atroce quello che aspetta una persona ogni 42 (nel 2015 era una ogni 53), che tentano la traversata nel mar Mediterraneo dalle coste del Nord Africa verso l’Italia. A sentenziarlo è un rapporto uscito oggi (scaricabile in coda all'articolo), in occasione della 71ma Assemblea generale dell’Onu – che si sta svolgendo in queste ore a New York proprio sul tema dei profughi – redatto da MedMig, gruppo di lavoro composto da ricercatori di tre università inglesi (Coventry, Birmingham e Oxford) assieme a enti non profit italiani, greci, turchi e maltesi.
Medmig ha monitorato dal gennaio 2014 a oggi le provenienze, le motivazioni e le tratte percorse dai migranti, intervistando in particolare 500 persone provenienti da Paesi africani e giunti sulle coste libiche per tentare da lì la traversata. “Per più di una persona su cinque il tempo passato dall’addio al proprio Paese al viaggio in barca è stato superiore ai 24 mesi. E’ il dato più ricorrente”, sottolinea Nando Sigona, ricercatore italiano che lavora per l’università di Coventry e ha firmato il rapporto assieme al collega Simon McMahon. Ecco il grafico.
Il lungo viaggio comporta oramai sistematicamente lunghe attese nei vari punti di passaggio della rotta migratoria, spesso in condizioni di prigionia e minacce: “Oltre il 75% delle persone con cui abbiamo parlato in Italia ha riportato episodi di violenza fisica e il 25% ha riferito di compagni di viaggio morti a causa delle condizioni di viaggio, tentativi di furto e rapimenti con riscatto andati male. Per molti di loro la sola via d’uscita dalla Libia è su una carretta del mare”, sottolinea Sigona.
I racconti sulla Libia di chi è riuscito ad arrivare in Italia raccontano un’escalation di abusi e orrore. “Ho deciso di partire perché ero rimasta solo con i miei figli. Mio marito è prima finito in prigione, poi l’hanno ucciso. Era un giornalista in Eritrea”, è la testimonianza di una donna eritrea di 35 anni. “Ci hanno portato in un posto isolato, una stalla, e trattenuto lì per un mese. C’erano altre donne nigeriane. Non avevamo il permesso di uscire e gli uomini che erano lì per controllarci ci hanno violentato molte volte”, riporta una ragazza di 25 anni, nigeriana.
La ricerca mostra inoltre come la distinzione tra migranti economici e migranti forzati non è sempre facile da fare e che nei racconti della maggior parte delle persone intervistate episodi di violenza, persecuzione, discriminazione e violazioni dei diritti umani intersecano povertà, mancanza di opportunità di lavoro e obblighi familiari. L’intensificazione dei flussi irregolari nel Mediterraneo – in particolare quelli nel Mediterraneo centrale, che hanno subito un picco nel 2014 ma da allora si mantengono stabili, 2016 compreso con i dati in linea con lo stesso periodo dello scorso anno, vedi grafici – "è anche il risultato dell’esternalizzazione delle politiche europee di controllo della mobilità in Africa che ha causato la scomparsa di opportunità di lavoro e protezione che era disponibili in passato".
Rifugiati e migranti si sono ritrovati così imbottigliati in Libia (e in Turchia, per quanto riguarda la rotta del Mediterraneo orientale o Egeo) dove però le opportunità di lavoro e le condizioni di sicurezza sono deteriorate rapidamente e il ricorso agli smugglers era e rimane tuttora, in assenza di vie legali, l’unica via d’uscita verso la speranza di un futuro migliore. “Mentre i trafficanti si arricchiscono e spesso sfruttano i rifugiati e i migranti, d’altra parte sono anche l’unica possibilità che resta a queste persone in fuga dalla guerra e dalla miseria. I trafficanti esistono solo perché non esistono alternative legali per raggiungere l’Europa per chiedere asilo ne tantomeno per trovare lavoro”, chiosa Franck Duvell, ricercatore dell’Università di Oxford e collaboratore di Medmig.
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