Non profit
Il vero tabù delloccidente? è il commercio delle armi
Anticipazione. Nel quinquennio 1996-2000, le potenze del G8 hanno controllato l87 per cento del mercato delle armi. L'editoriale del numero di Vita magazine da oggi in edicola
L?anno che si apre ha ricevuto un?eredità davvero imbarazzante dall?anno che si è appena chiuso: un mare sconsiderato di bugie. O di silenzi. Non vogliamo tirare la morale ai media occidentali, così lesti, sotto la pressione dell?emergenza post 11 settembre, ad adagiarsi nel comodo ruolo di megafoni delle versioni ufficiali. Non è questo che ci indigna: la libertà d?informazione è da sempre una conquista fragile e precaria, che può andare a pezzi, senza bisogno di nessun feroce Zdanov, sotto i colpi dei luoghi comuni, della propaganda e degli slogan. Ci indignano e ci feriscono, invece, le conseguenze che questo fiume sbalorditivo di bugie può avere sul destino di quei miliardi di persone lasciati ai margini della globalizzazione.
Proviamo a fare qualche esempio. Il premio Nobel Amartya Sen, sul numero speciale dell?Economist titolato The world in 2002, ha lanciato l?allarme su quella che, secondo lui, è una delle più grandi emergenze del mondo contemporaneo. “Le guerre locali e i conflitti militari”, ha scritto Sen, “non si fondano solo su tensioni regionali, ma vengono alimentati dal commercio mondiale delle armi”.
“I leader delle potenze mondiali, che hanno manifestato profonda indignazione di fronte alla protesta degli antiglobalizzatori, guidano i Paesi che più si arricchiscono con quei commerci”, continua Sen. Nel quinquennio 1996-2000, le potenze del G8 hanno controllato l?87 per cento del mercato delle armi. L?81 per cento delle armi convenzionali prodotte nel mondo, proviene dai cinque Paesi del Consiglio di sicurezza Onu. Gli Usa, naturalmente, fanno la parte del leone, con il 50 per cento del mercato, e i loro clienti, per oltre due terzi (68 per cento), sono i Paesi in via di sviluppo. Conclude Sen: “Le grandi potenze hanno avuto una grande responsabilità nel rovesciamento della democrazia in Africa nei decenni della guerra fredda. Il commercio di armi continua questa tradizione diabolica. Il recente rifiuto degli Usa a sottoscrivere l?accordo (proposto da Annan) contro il commercio illegale delle armi leggere, è indicativo. Ma un?inversione di priorità è assolutamente urgente”.
Il commercio delle armi gonfia il Pil dei Paesi occidentali e annienta, in tutti i sensi, i Paesi poveri. Due flash emblematici: nei giorni scorsi le agenzie hanno battuto la notizia dello scambio telefonico tra George Bush senior e il produttore nostrano di armi, Ugo Gussalli Beretta. Per tutt?e due le cose vanno a gonfie vele. Sempre negli stessi giorni, una corrispondenza da Kabul di Tiziano Terzani, notava la presenza di tantissimi container per le strade della capitale. Sono quelli arrivati negli anni 80 dagli Stati Uniti, pieni di armi e munizioni per i talebani che allora combattevano il nemico sovietico.
Se sul commercio di armi si tace, sull?aiuto ai Paesi poveri si fanno invece annunci a effetto. Al vertice di Laeken, in dicembre, i leader hanno rilanciato l?idea di raggiungere l?obiettivo dello 0,7 per cento del Pil in aiuti ai Paesi in via di sviluppo. Quella percentuale era stata fissata il 24 ottobre 1970 dalla Risoluzione 2626 dell?Onu. Si dava tempo un decennio per raggiungere quel livello considerato minimo. Oggi i Paesi dell?Ocse sono fermi alla media dello 0,22 per cento, con il record negativo degli Usa inchiodati a un misero 0,10. Infatti i Paesi più sono ricchi meno destinano fondi allo sviluppo di quelli poveri. Risultato: l?Africa subsahariana è passata da un aiuto di 32 dollari l?anno pro capite del 1990 ai 19 del 2000. Intanto la famiglia dei Paesi poveri si ?arricchisce?, almeno numericamente: erano 25 nel 1970, sono 49 oggi. Numeri, dietro ai quali si nasconde il destino reale di milioni di uomini. Numeri sui quali il ciclone Bin Laden ha gettato la polvere, legittimando tutto, dalla corsa alle armi ai tagli alle spese per la priorità della sicurezza.
PS Ed è proprio per dare ancor più voce e corpo ai miliardi di uomini e donne dimenticate dai circuiti della comunicazione mercantile che il nostro settimanale inizia l?anno nel segno di un?alleanza importante e oggi ancor più significativa: quella con il mensile Volontari per lo sviluppo, che la prima settimana di ogni mese uscirà in edicola allegato a Vita.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.